Ben ritrovati a una nuova puntata del ProgettoEVA2015!
In quest’analisi focalizzeremo la nostra attenzione sui progetti di perfezionamento inseguiti dalla Seele e da Gendo, e inoltre considereremo Yui che, quatta quatta, ha ideato anch’ella un piano segreto. Contemporaneamente continueremo il percorso di contestualizzazione, mostrando alcuni fenomeni sviluppatisi in Giappone nel secondo Novecento che sono piuttosto importanti nel contesto socioculturale in cui è nato Evangelion.
Ricordo che questo è un progetto amatoriale che non si prefigge alcuno scopo di completezza o eccessivo dettaglio, ma vuole proporre alcuni elementi per riflettere sulle peculiarità che hanno caratterizzato Evangelion.
Buona lettura!
• Introduzione
• Apocalisse e Speranza
• Aum Shinrikyo
• Osservazioni preliminari
• Progetto della Seele vs. Progetto di Gendo
• Obiettivo della Seele
• Obiettivo di Gendo
• Piano di Yui
• Considerazioni
• Interpretazione
• Riepilogo
• Differenza tra il piano di Yui e il progetto di Gendo
• Il fenomeno otaku
• Ambiente
• Alcune considerazioni sulla psicologia otaku
• Conseguenze
• Di cosa parla Evangelion
• Conclusioni
Introduzione
Per iniziare questo terzo appuntamento ci riallacciamo alla conclusione del percorso esplorato nell’articolo precedente, dove abbiamo presentato alcune questioni riguardanti la scienza, la tecnologia e le fascinazioni sci-fi derivate che hanno caratterizzato il Novecento e come queste si sono espanse in Giappone. Se all’inizio gli Stati Uniti avevano preso “sotto la propria ala” il Giappone fino alla fine del periodo di ricostruzione, poi il Paese del Sol Levante ha compiuto un’incredibile sviluppo fino al periodo della crisi energetica (1973 – 1974), ed è in questo periodo compreso tra gli anni Sessanta e Settanta che l’Occidente ha compiuto il passaggio tra epoca moderna ed epoca postmoderna.
L’epoca moderna è l’intervallo di tempo intercorso tra il Rinascimento e l’inizio della prima guerra mondiale, ed è stata caratterizzata dalle cosiddette Grandi Narrazioni, che sono l’Illuminismo, l’Idealismo e il Marxismo, a cui si possono aggiungere anche il Cristianesimo e il Capitalismo. Questi sono quei racconti che fornivano alle persone una giustificazione all’agire verso la conoscenza e il progresso, i.e. davano all’umanità un obiettivo posto nel futuro motivandola all’azione in funzione della realizzazione di questo, in modo tale da ottenere l’emancipazione.
Con la fine dell’Ottocento l’epoca moderna è entrata in crisi, prima per sfiducia nel Positivismo, una ricerca del progresso che era diventata come una nuova “gabbia” per le persone, in secondo luogo per l’angoscia dell’individuo alienato all’interno delle città; ricordo che in questo periodo si sono sviluppate riflessioni che hanno cercato di mettere al centro non più la ragione, ma l’irrazionalità e le pulsioni istintuali dell’essere umano (e.g. l’Esistenzialismo).
Con il nichilismo verso la metafisica e verso la scienza in termini di “verità imperiture che possono dare un significato all’esistenza” si scoperchiò il pavimento dei fondamenti assoluti, ma cosa c’era sepolto sotto? Il continuo flusso del divenire, il cambiamento, la reiterazione caotica di tutte le cose e il mare delle possibilità. L’uomo cerca l’armonia, la stabilità, un qualche fondamento esterno che sia fisso e immutabile su cui poggiare per sopravvivere e per non confrontarsi con l’inconsistenza e con il caos della natura, del mondo e della realtà in cui si trova a vivere.
Alla fine degli anni Settanta la sfiducia nelle Grandi Narrazioni è grande: il male concentrato dall’Uomo nei campi di sterminio, nelle bombe atomiche, nella guerra, la sfiducia nella religione, lo sgretolamento del Socialismo dell’URSS, la disfatta del Capitalismo come mezzo per la felicità; in definitiva si entra nell’epoca postmoderna, caratterizzata dal nichilismo, dal relativismo totale e soprattutto dalla mancanza di una finalità, di un progetto da realizzare.
L’individuo sente di non avere più sicurezze imperiture e unitarie né di tipo esterno (metafisica, scienze, movimenti politici), né di tipo interno (frammentazione dell’identità a discapito dell’integrità dell’Io), eppure nell’epoca postmoderna sembra che tutto ciò non abbia più importanza.
Rispetto all’occidente, in cui già all’inizio del Novecento era iniziata la crisi dei valori, in Giappone la postmodernità arrivò più tardi e, nonostante alcune resistenze, le peculiarità della nuova epoca furono accolte e riuscirono a propagarsi più facilmente che in Europa dato che gli idealismi erano differenti. Comunque sia più che fare considerazioni sulla nascita della postmodernità in Giappone e sulle approvazioni e resistenze che ha trovato per diffondersi, mi limito a indicare che il suo punto iniziale si trova del decennio successivo all’Expo di Osaka del 1970.
Per far fronte alla mancanza di riferimenti si iniziò a propagare la cultura pop, ma per i nostri interessi ci limitiamo alla subcultura degli anime e manga, una sorta di Grande Narrazione fittizia che potesse colmare il vuoto e l’instabilità dell’individuo, e al contempo proseguire il consueto sviluppo tecnologico; in apparenza il Giappone sembrava il paese più felice del mondo. Tuttavia quando nel 1990 la bolla economica si sgonfiò il paese si trovò in una situazione di recessione, in cui non essendo più possibile il consumismo degli anni ottanta (in cui la subcultura otaku era stata rigogliosa) il tutto appariva per ciò che era: un paese fittizio perché spogliato dalla sua identità culturale e tradizionale a causa dell’occidentalizzazione, rapporti umani fittizi a causa sia della struttura della società che del relativismo, disoccupazione, solitudine, disillusione politica: in altre parole un disastro.
Da una parte si sviluppò un senso di inquietudine, dall’altra ci fu parte della popolazione in cui rimase vivo questo “moto di superficialità”. In quest’analisi vedremo brevemente il caso della setta Aum Shinrikyo, come esempio di inquietudine, e il fenomeno degli otaku, come esempio di subcultura e, a lungo andare, di superficialità.
Apocalisse e Speranza
Per comprendere meglio la nascita e la dottrina di Aum Shinrikyo e l’uso ricorrente di certe ambientazioni negli anime giapponesi, è senza dubbio necessario menzionare, seppur in modo sintetico, la Guerra Fredda sviluppatasi dal 1945 al 1991 in periodi alterni, tra gli Stati Uniti d’America (USA) e l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS).
USA e URSS erano due società basate su presupposti totalmente antitetici che diedero luogo a un bipolarismo sul piano geopolitico e antropologico, non solo tra loro ma anche sul confronto in larga scala tra Occidente e Oriente: democrazia contro statalismo, individualismo contro uguaglianza, capitalismo contro comunismo.
La Prima Guerra Fredda si è sviluppata proprio in tale scenario di confronto a distanza tra le due superpotenze, tra spionaggio, politica al riarmo e una conseguente corsa agli armamenti nucleari per costruire ordigni sempre più potenti.
L’intervallo di tempo che va dal 1962 al 1981 è definito come periodo di distensione in quanto fondamentalmente ci fu una coesistenza pacifica tra le due superpotenze; in particolare in questo periodo la sfida tra USA e URSS si spostò dalle armi, a una più “tranquilla” corsa allo spazio.
La Seconda Guerra Fredda scaturì nel 1981, per via della politica al riarmo del presidente americano Reagan che promosse varie azioni militari come l’installazione di basi missilistiche in Europa e la creazione dello scudo spaziale. Nonostante le politiche distensive e le riforme di Michail Gorbačëv, l’economia sovietica non riusciva a stare al passo dell’America e alla fine per vari motivi l’URSS si sgretolò in varie repubbliche e la Guerra Fredda si concluse nel 1991.
La questione fondamentale è che a differenza delle guerre mondiali durante la Guerra Fredda gli ordigni di distruzione di massa erano pronti: sarebbe bastata una scintilla per provocare un nuovo conflitto mondiale e forse questa volta non sarebbero rimaste nemmeno le ombre delle persone abbarbagliate e annientate dalle esplosioni atomiche e a idrogeno.
In particolare per i giapponesi, alleati con gli USA, quest’atmosfera deve essere stata terribile, poichè avevano subito ben due devastazioni di massa con le bombe atomiche sganciate rispettivamente su Hiroshima e Nagasaki.
Da questi fatti non è peregrino affermare che molte ambientazioni degli anime da una parte esternino l’indelebile ferita subita nel 1945 e dall’altra dipingano questo terrore, quest’atmosfera di inquietudine per un’incombente fine del mondo. Basta pensare al fungo atomico presente in anime come quelli del ciclo Time Bokan, o ai mondi post-apocalittici rappresentati in Ken il guerriero, Conan il ragazzo del futuro o in Nausicaa della valle del vento; in tal senso è chiaro che il Second Impact e il temuto Third Impact di Evangelion simbolizzino vividamente queste paure.
Su questo argomento il parere di Hideaki Anno, espresso in due interviste (1) (2), sembra confermare tutto ciò:
Essenzialmente la paura della Guerra Fredda era il timore per una guerra nucleare, c’era questa sensazione che se la guerra atomica fosse scoppiata il mondo sarebbe andato distrutto.
Nel mondo di Eva la popolazione umana è stata dimezzata, ma come regola si può dire che i mondi in cui la popolazione è stata decimata sono tipici dei cartoni animati giapponesi. Penso a mondi isolati e fatti a brandelli, dove a causa di un passato disastroso l’umanità è stata decimata; insomma scenari caratteristici dell’animazione giapponese.
Per quanto riguarda la guerra fredda, il timore di un olocausto nucleare e il declino degli ideali, citiamo nuovamente Ragnarok, il 33° cortometraggio nell’ambito della rassegna Japan Anima(tor)’s Exhibition ideata da Hideaki Anno.
Nel corto, ambientato in un futuro non troppo lontano, ha luogo a Odaiba l’Esposizione Internazionale dei Robot Giganti. Per cause sconosciute l’automa giapponese va fuori controllo; nel tentativo di fermarlo vengono dapprima attivati due mecha (Stati Uniti e Russia), che però non sono sufficientemente potenti per tenere testa alla macchina nipponica. Vengono pertanto attivati altri tre mecha e solo in questo caso il robot giapponese viene neutralizzato dallo sforzo congiunto di cinque altri mecha (potrebbe essere un riferimento al sentimento di superiorità giapponese secondario al continuo desiderio di rivalsa del Giappone nei confronti di Cina, Russia, Stati Uniti e del resto del mondo…) al prezzo della distruzione totale dei sei automi in questione e della devastazione dei padiglioni della Robot Expo.
Questo corto sembrerebbe dunque una metafora del contrasto tra i buoni e vecchi propositi idealistici (il motto dell’Expo di Osaka del 1970 era “Progresso e Armonia per tutta l’Umanità”), e la tuttora attuale realtà delle guerre che hanno colpito varie parti del mondo e afflitto molteplici popoli dal secondo dopoguerra a oggi.
Nel contesto dell’olocausto nucleare rientra il Progetto per il Perfezionamento che, come abbiamo già visto nell’analisi sullo scenario, era il punto focale di Eva già nelle prime bozze, ed ecco infatti cosa ci dice il Proposal:
L’umanità vuole ottenere il potere di opporsi alla divinità. La base di questa storia è il “progetto per la complementazione del genere umano”.
Mezzo secolo fa abbiamo sviluppato la fusione nucleare. Ora l’umanità definisce un piano per creare un’entità umana perfetta con le proprie mani.
L’obiettivo è quello di ricreare scientificamente “l’Albero della Vita”, proibito dalla divinità, in modo tale da togliere la morte dal cammino dell’uomo liberandolo così dal peccato originale e dalla maledizione che lo affligge.
È interessante notare il fatto che venga menzionata la fusione nucleare, probabile riferimento sia alla fede nelle potenzialità della scienza, ovvero la speranza che prima o poi l’Uomo riesca a controllare tale processo per creare energia, che contemporaneamente allo sviluppo delle bombe termonucleari durante la corsa agli armamenti. In tal senso questi due punti si legano strettamente in quello che abbiamo già detto essere un tema ricorrente del regista nipponico: la fiducia e la sfiducia nella scienza come forza dalla duplice valenza creatrice e distruttiva.
Sempre in quest’ottica un altro elemento importante che emerge è che il Progetto per il Perfezionamento sia permesso grazie alla scienza, e inoltre è esplicitata la creazione dell’Albero della Vita, che come sappiamo è legato alla scienza dall’Expo di Osaka ’70 e trova il suo significato metafisico all’interno della Bibbia o nella Cabala ebraica.
Nella versione definitiva della storia il progetto viene nominato per la prima volta nell’episodio 2 nella riunione tra Gendo e la Commissione a capo della Nerv, che si scoprirà in seguito essere composta da membri di una misteriosa organizzazione chiamata Seele.
Nelle Informazioni riservate del videogioco Neon Genesis Evangelion 2 viene detto che:
La Seele è una società segreta esoterica nata durante i Secoli Bui del medioevo e originariamente era un ordine religioso. Lentamente ma inesorabilmente, la Seele estese la propria influenza, finché finalmente annientò le ultime forze di opposizione a metà del ventesimo secolo e divenne un potere latente con un controllo segreto sulla società umana.
La Seele è un gruppo di individui che, nascosto dietro le Nazioni Unite, controlla e manipola dall’ombra le sorti del mondo dal punto di vista politico e della divulgazione delle informazioni.
In seguito al ritrovamento delle Pergamene segrete del Mar Morto la Seele viene a conoscenza di grandi misteri sul passato dell’umanità e di eventi che sarebbero accaduti in futuro.
A questo punto è utile notare come la Seele, gli Angeli – misteriosi nemici da combattere – e la sensazione di un complotto dietro le quinte, facciano parte dell’immaginazione collettiva della popolazione giapponese degli anni Novanta. Parliamo infatti del caso di Aum Shinrikyo, una setta esoterica che ha compiuto atti terroristici in Giappone negli anni novanta.
Aum Shinrikyo
Iniziamo con un estratto da un’intervista del 1997 (di cui riportiamo la fonte sia in inglese che in italiano) tra Krystian Woznicki, critico polacco trapiantato a Tokyo, e il filosofo giapponese Hiroki Azuma, studioso del pensiero contemporaneo e critico culturale, all’epoca giovane ricercatore universitario.
Krystian Woznicki[KW]: Anno ha cambiato la trama originale della storia di Evangelion quando, nel marzo 1995, ha saputo la notizia dell’invasione del nascondiglio di Aum Shinrikyo da parte della polizia. Forse [Anno] ha deciso di cambiarla perché gli sembrava troppo vicina alla realtà?
Hiroki Azuma[HA]: Sì, ha detto così.KW: Perché cambiarla? Forse Evangelion era troppo simile al caso di Aum?
HA: Anno ha pensato che la sceneggiatura originale non fosse adatta alla trasmissione in broadcasting (televisione).KW: Temeva la censura, quindi.
HA: Un certo tipo di censura. Ma questo è tipico negli anime.
I prodotti di animazione televisiva sono rivolti a un pubblico di giovani al di sotto dei 15, 16 anni. E credo che Anno abbia pensato che la somiglianza tra Evangelion e la realtà avrebbe ridotto il potenziale immaginifico dell’anime.
Era sconvolgente quanto la sceneggiatura originale [di Eva] fosse vicina alle motivazioni politiche del gruppo di Aum, loro continuavano a combattere un nemico, senza sapere nemmeno cosa fosse in realtà questo nemico. In Evangelion gli Angeli assumono strane forme, come piramidi e ombre, e ho chiesto ad Anno di queste loro caratteristiche astratte. Lui mi ha detto che ciò riflette i sentimenti della sua generazione; per loro il nemico non è politico. È un nemico indefinito.
Io gli ho fatto notare che tale pensiero è molto vicino alla concezione di “nemico” che ha Aum, un qualcosa di indefinito e lui ha ammesso questa rassomiglianza.
Tuttavia è troppo semplicistico concludere che Anno fosse un simpatizzante di Aum, che enfatizzava la chiusura e l’esclusività del gruppo. Essi avevano perso ogni contatto con la realtà. Secondo Anno questa cosa è molto simile a ciò che succede ai fan degli anime. Ed Evangelion critica i fan degli anime, e la [sub]cultura di questi.[…]
HA : La vicinanza al caso Aum non è certo un’esclusiva di Evangelion. Il fatto è che il film di Anno è una critica intrinseca ad Aum [i.e. Anno critica la chiusura degli otaku]. La carriera di Anno è terribilmente vicina a quella di Aum. L’affare Aum ha fatto presa proprio sull’aspetto otaku del carattere nipponico.
Aum Shinrikyo (Insegnamento della Verità dell’Aum) fu un movimento religioso fondato nel 1984 da Shoko Asahara, il cui credo era fondato su un miscuglio di elementi Induisti, Buddhisti, Cristiani e della religiosità popolare giapponese. La parola Aum fa riferimento al termine sanscrito ॐ (Om), che nell’Induismo indica il sacro suono causa prima dell’esistenza e verità ultima.
Da una parte troviamo l’ambiente postmoderno capitalista ricolmo di relativismo e consumismo, dall’altra la tensione per un nuovo conflitto mondiale, paura alimentata dalla Guerra Fredda e dai vari conflitti dell’epoca, poi il terremoto di Kobe e l’esplosione della bolla economica: insomma non appare inusuale la nascita di questa setta new age che predicava un’apocalisse alle porte.
Aum cercò di legare le idee religiose ai temi più popolari contenuti negli anime e nei manga, tra cui soprattutto Corazzata spaziale Yamato, Akira, Conan il ragazzo del futuro e Nausicaa della valle del vento, inoltre prese spunto dalla letteratura fantascientifica, in particolare dal Ciclo della Fondazione di Isaac Asimov, e infine dalle Profezie di Nostradamus, pubblicate in Giappone nel 1973 e da cui i membri di Aum erano ossessionati.
In quest’ottica molte persone che si sentivano perse nella frenetica società giapponese e che erano alla ricerca di sé stesse si associarono ad Aum, che prometteva una via di salvezza dall’imminente estinzione, tramite tecniche meditative mutuate dal Buddhismo. L’influenza nel credo di Aum di opere sci-fi e catastrofiche fa davvero riflettere sul problema della fascinazione, della disinformazione, nonché dell’incapacità dei membri della setta di distinguere tra la realtà e la suggestione mutuata da mondi immaginari di manga o anime.
Inoltre Aum iniziò a produrre video promozionali, registrazioni musicali e nastri di predicazione del leader Asahara. Ecco un esempio:
Durante la mattina del 20 marzo 1995, verso l’ora di punta, alcuni membri di Aum rilasciarono dei sacchetti con gas sarin in forma liquida in alcune linee metropolitane di Tokyo. Il sarin è estremamente volatile e quindi si espanse rapidamente nell’aria intossicando moltissime persone: l’attacco era diretto contro i treni di passaggio alle stazioni Kasumigaseki e Nagatacho, sedi del governo giapponese. L’attentato uccise 12 persone e ne ferì moltissime in modo lieve e molte altre in forma permanente.
Questo tuttavia non è stato il primo atto di violenza pubblico organizzato dai membri di Aum: questi erano già stati responsabili di rapimenti e omicidi alla fine degli anni Ottanta e nei primi anni Novanta. Inoltre un attentato con il gas sarin, sebbene in scala più piccola, era già stato fatto nel 1994 in un piccolo complesso residenziale.
A nove anni di distanza, il giudice Shoji Osawa del Tribunale di Tokyo ha pronunciato otto condanne all’impiccagione per i crimini perpetrati dal santone e dai suoi adepti: dal sequestro e l’assassinio di un avvocato anti-setta, di sua moglie e del figlioletto di appena un anno, fino alla strage del 1995. Così recita la motivazione della sentenza:
Asahara ha trasformato la setta in un culto, con l’unico desiderio di regnare in Giappone e diventarne il Re […] sfruttando successo e doni dei suoi adepti si è armato; ha costruito mille fucili e ha cercato di prendere il controllo della capitale e ha minacciato e ucciso chi vi si opponeva.
Citiamo l’opinione di Anno direttamente da un’intervista dell’agosto 1996 pubblicata sulla rivista June (riassunto e traduzione a cura di Numbers-kun)
Anno dice che la vicenda di Aum ha dimostrato che alcune persone sono spinte a far parte di un gruppo. Inoltre Anno si è reso conto di quanto sia facile diventare leader di una setta [in riferimento a Shoko Asahara, NdT].
Il problema è che gli esseri umani non possono vivere da soli, ma in qualche modo dipendono dagli altri.
(NdNevicata: orientarsi tra le quantità mastodontiche di materiale raccolto da Gwern è molto complicato e i link interni alla sua pagina html non sono sufficienti, perciò qualora voleste rintracciare nel testo in inglese il passo in questione vi forniamo il seguente riferimento: 10. Group Mentality)
In Evangelion si possono notare almeno due riferimenti quasi espliciti ad Aum Shinrikyo: in primo luogo nell’episodio 20 una trasmissione radio informa di una setta religiosa che ha compiuto un attentato terroristico a Neo Tokyo-2, in secondo luogo, pur con le modifiche avvenute in corso d’opera, è difficile non accostare la Seele e il suo obiettivo finale, il Progetto per il Perfezionamento dell’Uomo (人類補完計画 Jinrui Hokan Keikaku), a un gruppo settario capace di manipolare le persone, le informazioni e la politica per i propri scopi apocalittici, quale era Aum.
In un rimando tra finzione e realtà, il piano della Seele, considerato dall’organizzazione come l’unica speranza per la serenità umana, risulta invece una sorta di perverso attentato terroristico di livello planetario, nient’altro che un progetto aberrante.
In seguito alla morte di Yui, anche Gendo, sopraffatto dalla disperazione e dalla sua inettitudine alla vita, inizierà a portare avanti questo progetto, come dirà a Fuyutsuki nell’episodio 21:
Da oggi ci occuperemo di un nuovo progetto, l’inviolato cammino verso la divinità, il Progetto per il Perfezionamento dell’Uomo.
Nella già citata intervista ad Anno pubblicata su NewType di giugno 1996 possiamo leggere l’opinione del regista sul Perfezionamento:
Il “Progetto per la complementazione/perfezionamento degli esseri umani” è un’allegoria del mondo dell’animazione.
ANNO: “Parlando di improvvisazione, quando ho aggiunto il Progetto di complementazione dell’uomo, che compare nel secondo episodio, e che stava per diventare il fulcro della trama, non avevo ancora la minima idea di cosa dovevo ‘complementare’. È solo un bluff verbale (ride).
La traduzione in inglese è “Instrumentality Human Project”, che fa riferimento a un’organizzazione che governa tutta l’umanità, inventata dall’autore sci-fi Cordwainer Smith, autore di una raccolta di racconti dal titolo Instrumentality of Mankind.
Ricordiamo che in matematica dati due insiemi A e B che si intersecano, il complemento relativo di A rispetto a B è l’insieme degli elementi di B che non sono contenuti nell’intersezione. Dunque nell’ottica di Evangelion date due persone A e B la complementazione delle loro anime consiste nell’unione di tutte le sfumature che le caratterizzano, sia quelle comuni (presenti nell’intersezione) che quelle non comuni (presenti nei complementi relativi), in modo tale da colmare le rispettive lacune.
Dal punto di vista evolutivo, in The End of Evangelion (volume 12 del manga) Misato ci dirà che l’umanità è giunta al limite dell’evoluzione come colonia biologica, e che il Progetto per il Perfezionamento consiste nel provocare il Third Impact per riunire l’umanità in un unico nucleo perfetto. Ciò che Misato non sa è in cosa consista questo nucleo perfetto.
Dal punto di vista psicologico il Perfezionamento serve per risolvere i problemi di sofferenza dell’animo causati dagli A.T. Field che separano gli individui tra loro, come spiegato tramite la metafora del dilemma del porcospino negli episodi 3 e 4.
Osservazioni preliminari
Prima di andare al sodo, in questa sede ci chiediamo tre cose:
1. Adam e Lilith che frutti possiedono?
2. L’Anti-A.T. Field è una peculiarità delle Entità Progenitrici o è un potere generato dal Motore S² ?
3. Perché l’unione tra Adam e Lilith è “proibita”?
I Frutti sono i misteriosi elementi che vengono menzionati da Fuyutsuki solo nel The End of Evangelion (volume 13 del manga):
“Il Frutto della Vita in possesso degli Angeli e il Frutto della Conoscenza in possesso dell’uomo.”
L’unica informazione estrapolabile è che gli Angeli possiedono il Frutto della Vita e i Lilim quello della Conoscenza, che come abbiamo già detto garantiscono rispettivamente la vita eterna e l’intelligenza.
La prima possibilità è che Adam e Lilith possiedono entrambi i Frutti.
In questa situazione sia che l’Anti-A.T. Field sia una peculiarità delle Entità Progenitrici e sia che dipenda dal Motore S² cambia ben poco, in entrambi i casi Adam e Lilith sono in grado di emanarlo.
Per quanto riguarda l’unione proibita, questa potrebbe essere semplicemente un elemento cool e metanarrativo, un riferimento preso dal Talmud ebraico o da altri testi antichi. In alcuni di questi testi viene indicato che Lilith era la prima compagna di Adamo, in altri ella era una figura demoniaca che generava demoni o una seduttrice che provocava polluzioni notturne; sia quel che sia, notiamo che in genere Lilith è legata a concetti malvagi e quindi di conseguenza l’unione con Adamo, il primo uomo perfetto creato da Dio, non è una cosa buona, da cui l’unione “proibita” tra Adam e Lilith in Evangelion.
Viceversa la seconda possibilità è che Adam possiede solo il Frutto della Vita e Lilith solo quello della Conoscenza. In questa situazione sembra ragionevole ritenere che l’Anti-A.T. Field sia una peculiarità delle Entità Progenitrici e non un potere derivato dal Motore S²; in quest’ultimo caso poiché Lilith non ha l’S² non potrebbe generare l’Anti-A.T. Field, ma ciò stona un po’ con l’idea che le Entità Progenitrici siano in grado di generare ed eliminare la vita, e per compiere quest’ultima azione è necessario l’Anti-A.T. Field.
In questa versione l’unione proibita oltre a mantenere il riferimento metanarrativo suddetto, assumerebbe anche un preciso significato all’interno della trama: compiere l’unione tra Adam e Lilith significherebbe unire i due Frutti e quindi creare una divinità.
Fatte queste considerazioni non mi sembra opportuno insistere oltre su questo argomento, ma concludo menzionando il fatto che, secondo quanto rivelato nel videogioco Neon Genesis Evangelion 2, ogni Entità Progenitrice ha un solo Frutto, il che lascerebbe intendere come valida la seconda delle possibilità qui presentate. Ricordiamo che non essendo possibile definire al 100% la canonicità del gioco, quest’informazione è da prendere con le molle.
Progetto della Seele vs. Progetto di Gendo
Eccoci arrivati al fulcro dei misteri di Evangelion. Cominciamo dal dialogo che avviene all’inizio del The End of Evangelion nella riunione tra Seele, Gendo e Fuyutsuki.
KEEL: Il Tempo Promesso è giunto. Ma ora che la Lancia di Longinus è perduta, non attueremo il Perfezionamento attraverso Lilith: ultima possibilità di adempimento è il clone da lei originato, l’Eva-01.
GENDO: Un intento che si discosta dal copione della Seele.
FUYUTSUKI: L’esistenza dell’umanità si giustifica nella creazione degli Eva.
GENDO: Ora il suo destino è progredire verso un mondo nuovo. Ed è per questo che esistono gli Eva.
SEELE 09: Però non è opportuno abbandonare la forma umana per salire sull’Arca che porta il nome di “Eva”.
SEELE 12: Si tratta di un Rito di Passaggio, necessario a sollecitare l’incedere dell’evoluzione dell’umanità, attualmente imprigionata.
SEELE 07: La via della distruzione coincide con l’alba della nuova vita (la gioia della rinascita).
SEELE 06: E’ nella Morte che il dio, l’uomo e gli esseri tutti si fonderanno in uno.
GENDO: La Morte non genera nulla.
KEEL: La Morte è ciò che avrete.
FUYUTSUKI: L’uomo onora la propria esistenza solo nell’atto di desiderare la vita. Questo era il volere di Yui nel giorno in cui scelse di salire a bordo dell’Eva.
Per prima cosa la Seele afferma che in mancanza della Lancia di Longinus non è possibile utilizzare Lilith nel Progetto e pertanto si devono arrangiare con l’Eva-01.
In giapponese lo 01 viene definito リリスの分身 (Lilith no Bunshin) che significa “alter ego di Lilith” e quindi per la Seele il robot è utilizzabile come valido sostituto dell’Entità Progenitrice nel Progetto per il Perfezionamento. In particolare si sottolinea come lo 01 sia l’unica possibilità rimasta, quindi l’Unità-02 o uno dei mecha della Serie degli Eva non possono ricoprire questo ruolo: per esempio possiamo supporre che l’Eva-01 sia l’esclusivo clone fisico di Lilith e per questo unico a poterla rimpiazzare nel rito.
Comunque sia, tornando al dialogo durante la riunione, la Seele afferma che l’evoluzione o “rinascita” che intende apportare all’umanità coincide con la “distruzione/morte”, ovvero il Third Impact con cui abbattere gli A.T. Field di tutti gli esseri viventi.
Dal canto loro Gendo e Fuyutsuki affermano che l’esistenza dell’umanità si spiega nell’innato atto di desiderare la vita alla morte e gli Eva non sono altro che l’estremizzazione del concetto di vita, in quanto una volta dotati di Motore S² potranno vivere per l’eternità.
Gendo e Fuyutsuki vogliono quindi usare l’Eva-01 come un’Arca in cui riunire l’umanità per proteggerla dall’Impact, affinché questa avanzi in un “nuovo mondo”.
Obiettivo della Seele
Ricordiamo ora che quando Lilith apre sui palmi delle mani le Porte del Guf, Fuyutsuki rivela:
La Sala del Guf è stata aperta. Il sigillo che ci divide dall’inizio e dalla fine del mondo è stato spezzato.
Secondo la tradizione Ebraica, in particolare nel Talmud, la Sala del Guf è un luogo metafisico disposto nei Cieli nel quale sono contenute tutte le anime delle persone che nasceranno fino alla fine del mondo, ovvero il giorno in cui la Sala del Guf sarà vuota e arriverà il Messia.
Infine dall’ultima battuta del presidente Keel, capiamo in modo cristallino il piano della Seele:
L’inizio e la fine convergono nel medesimo punto. Perfetto, è esattamente così che doveva essere.
L’evoluzione che la Seele desidera per l’umanità non è altro che il ritorno di tutte le anime all’origine dell’esistenza, è chiaro quindi il motivo per cui inizio e fine coincidono: aprendo la Sala del Guf le anime vengono riportate nel luogo primigenio da cui provengono.
Tra l’altro questa stanza mistica era già stata menzionata in altre due occasioni.
Nell’episodio 23 Ritsuko dice:
Similmente a contenere un’anima è anche Rei, ma una soltanto. L’anima venne disposta in una sola bambina, la Sala del Guf si era ormai svuotata.
E nei dialoghi della spedizione Katsuragi al Polo Sud durante il risveglio di Adam, viene detto:
Nel momento dell’apertura delle porte del Guf, dare inizio alle operazioni di termo-soppressione!
Farò qualche considerazione sulla Sala del Guf di Evangelion nell’articolo dedicato al finale, qui ci limitiamo a fare due osservazioni sulla frase di Ritsuko: in primo luogo, poiché il mito ebraico dice che la fine dei tempi avverrà quando la sala del Guf sarà vuota, viene suggerito che il Third Impact è ormai prossimo, in secondo luogo il fatto che l’ultima anima rimasta nel Guf fosse quella di Rei non implica che le persone nate nel periodo tra il 2000 e il 2015 siano nate prive di anima, infatti nella narrazione manca una vera e propria spiegazione, anche solo a grandi linee, sul funzionamento del Guf. In sostanza allo spettatore non viene rivelato niente sulla natura del Guf, sulla formazione delle anime, sul rilascio di queste e così via, inoltre non si sa nemmeno se la GAiNAX abbia avuto o meno qualche idea dettagliata al riguardo, quindi ciò che deve passare allo spettatore è l’alone di mistero che avvolge tale questione ed è a questa fascinazione che si deve dare peso senza porsi troppi problemi.
In definitiva gli eventi che si verificano in The End of Evangelion sono all’incirca quelli voluti dalla Seele, con qualche piccola modifica: Lilith non è direttamente controllata da loro anche se alla fin fine questa fa ciò che loro desideravano; inoltre nel loro piano non era prevista la presenza di Shinji e seppur in un primo momento il Third Children si comporterà secondo i loro piani scegliendo l’estinzione dell’umanità, alla fine sarà proprio Shinjii a rifiutare la totale unione tra le anime.
Per attuare il proprio Progetto la Seele necessita di un’entità in grado di generare un Anti-A.T. Field planetario come Lilith, oppure in sua assenza pare che si sarebbe cercato di ottenere il medesimo risultato sfruttando la risonanza dei Motori S² della Serie degli Eva e dello 01. In questo modo avrebbero potuto abbattere tutti gli A.T. Field degli esseri viventi, riducendoli in LCL e liberandone le anime.
Il controllo del rituale sembra avvenire tramite la Serie degli Eva, ed è quindi plausibile che se la Seele fosse stata in possesso della Lancia di Longinus fin da subito l’avrebbe usata su Lilith per mezzo di questi.
Un’ipotesi secondo me interessante, che tra l’altro si ricollega anche agli eventi del Second Impact, è che se l’embrione di Adam fosse stato ancora in mano della Seele, esso sarebbe stato fatto fondere con Lilith, controllando il processo per mezzo della Lancia e della Serie degli Eva. In questo modo si sarebbe compiuta “l’unione proibita” tra Adam e Lilith di cui abbiamo già parlato e che invece viene tentata da Gendo.
Con la “Cerimonia della Terra Rossa” la Seele svela la Luna Nera di Lilith e infine con la Lancia di Longinus viene creato l’Albero della Vita, fascinazione di Hideaki Anno dai tempi dell’Expo di Osaka ’70, elemento centrale già a partire dal Proposal e che fondamentalmente rappresenta la vita in senso primordiale e l’ascensione spirituale. Le anime liberate dai corpi fisici saranno poi condotte nella Sala del Guf e infine troveranno la pace eterna nel Mare di LCL, la dimensione primigenia dell’esistenza.
Obiettivo di Gendo
Per quanto riguarda il padre di Shinji sappiamo che il suo piano è nato a seguito della morte della moglie Yui, e verso la fine della serie TV alcuni dialoghi ci forniscono alcuni indizi sui desideri del Comandante della Nerv.
La prima conversazione interessante è certamente quella al lago tra la Seele e Kaworu, dove i primi rivelano che:
Vi è un uomo che sta tentando di impossessarsi di un potere pari a quello della divinità.
Da questa frase si comprende che Gendo vuole creare un dio. Per quanto detto finora è chiaro che il dio non è altro che l’Eva-01 dotato di Motore S², l’Arca con cui Gendo vuole salvare l’umanità dal ritorno all’origine dell’esistenza.
Un altro dialogo importante è quello in The End of Evangelion, quando Gendo dice a Rei:
Ormai Adam è in me. Poiché questa è la sola via per rivedere Yui… attraverso l’unione proibita tra Adam e Lilith. […] Cominciamo, Rei. Abbandona l’A.T. Field, le mura del tuo animo, giungi al perfezionamento del tuo cuore incompleto, rinuncia al tuo corpo ora inutile, fondi tutte le anime in una sola.
E infine portami con te, al cospetto di Yui.
Come si evince anche Gendo vuole provocare intenzionalmente il Third Impact utilizzando Lilith, e secondo lui il “nuovo mondo” verso cui l’umanità deve progredire non è altro che uno stato d’esistenza in cui le anime complementate all’interno dell’Arca/Eva-01 con Motore S² saranno perennemente in armonia.
Sia il progetto della Seele che quello di Gendo mirano a risolvere le sofferenze dell’umanità, e per farlo vogliono unificare tra loro tutte le anime. Per la Seele l’umanità deve prima espiare i propri peccati nella morte (Third Impact) e poi nel ritorno all’origine dell’esistenza troverà la pace eterna (Perfezionamento), mentre per Gendo tale soluzione è una regressione pari alla morte, e quindi per salvare l’umanità e garantirle la beatitudine eterna vuole riversarla all’interno dello 01, luogo dove lui si ricongiungerà a Yui. In poche parole la differenza tra i due piani è il luogo in cui fondere le anime: per la Seele è il Mare di LCL, mentre per Gendo è l’Eva-01.
Gendo sembra quasi un transumanista che ricerca a tutti i costi l’immortalità.
In particolare notiamo due similitudini con altri anime: lo 01 contenente le anime complementate da una parte ricorda la Pietra Azzurra di Nadia, in quanto essa contiene al suo interno le anime di tutti gli Atlantidi e dall’altra ricorda l’energia Ide di Ideon, poiché costituita dall’inconscio collettivo degli abitanti della Sesta Civiltà.
Farò qualche altra considerazione sulle motivazioni di Gendo nel paragrafo dedicato al confronto tra il suo progetto e quello di Yui.
Per attuare il proprio Progetto Gendo necessita di un’entità in grado di generare un Anti-A.T. Field planetario come Lilith, e per poterla controllare, o meglio per averla dalla sua parte, le ha estratto l’anima inserendola in Rei Ayanami, clone di Yui di cui Gendo si è sempre preoccupato e che, a suo modo, ha cercato di accudire e proteggere.
Gendo vuole inoltre agire di persona e per farlo assimilerà egli stesso l’embrione di Adam in modo che si possa fondere tramite Rei a Lilith, compiendo non solo la fusione proibita tra le due Entità Progenitrici, ma anche in modo che possa presumibilmente pilotare l’Impact insieme a Rei.
Per quanto riguarda la divinizzazione dell’Eva-01 basterà applicargli un Motore S², cosa che l’Eva farà da solo nell’episodio 19 rendendo Gendo felice come un bimbo:
Tutto comincia da qui.
Infine l’ultimo passaggio del piano di Gendo è eliminare la Lancia di Longinus, e ci sono almeno tre motivi per cui lo deve fare:
• non gli serve per controllare Lilith, poiché ha Rei dalla sua parte;
• la Lancia è una reliquia in grado di sigillare entità come Adam o Lilith e di conseguenza sarebbe anche in grado di distruggere l’Eva-01 in stato divino;
• senza la Lancia la Seele sarà costretta a porre l’Eva-01 al centro del rituale non potendo utilizzare Lilith, e in questo modo Gendo è facilitato in quanto il suo intento è quello di riversare le anime nel mecha.
Ciò si può comprendere nella puntata 22 (volume 9 del manga):
FUYUTSUKI: Ikari, non credi sia ancora troppo presto [per sbarazzarci della Lancia]?
GENDO: La Commissione ha avviato la produzione di massa della Serie degli Eva. Questa è un’occasione, Fuyutsuki!
Poiché in tale episodio la Lancia entrerà nell’orbita lunare e non ci sono mezzi in grado di recuperare un oggetto così grande, Gendo segna un altro canestro per la sua squadra.
Che giocatore!
Per concludere facciamo qualche breve osservazione piuttosto evidente ma che è utile sottolineare.
Si noti che Gendo non rivela mai alla Seele né il segreto di Rei (nell’episodio 23 anziché inviare la ragazza al cospetto della Commissione, Gendo presenta Ritsuko), né il furto dell’embrione di Adam dal luogo in cui era custodito in Germania compiuto da Kaji (nella versione Director’s Cut dell’episodio 21 è stata inserita appositamente una scena dove Kaji dice che la Seele è ormai prossima a scoprire che è stato lui a compiere il furto), né tantomeno lascia intendere di voler apertamente tradire la Seele.
Nell’ottica dei livelli di verità interni alla serie ciò evidenzia come, seppure Gendo e la Seele siano le massime fonti di verità, il primo riesce a ritagliarsi un proprio piano che riesce a tenere segreto ai suoi superiori. La Seele gli ricorda che mentire loro lo porterà alla morte e spesso i vecchi si chiedono se Gendo non voglia tradirli. Alla fine negli episodi 23 e 24, con la perdita della Lancia di Longinus e con la scoperta del furto dell’embrione di Adam la Seele passa dalle supposizioni alle affermazioni: sanno che Gendo li vuole tradire e che egli ha un proprio piano diverso dal loro.
Il confronto nell’ultima riunione in The End of Evangelion permette di scoprire finalmente le carte delle due fazioni, mettendo in evidenza, come abbiamo visto, le differenze tra i due piani.
Piano di Yui
Eccoci giunti al piano di Yui. Questo personaggio compare relativamente poco nella storia, ma in quei pochi momenti appare come una presenza intensa, forse un po’ criptica nella serie TV e di converso magnificamente caratterizzata nel manga di Sadamoto, almeno secondo la mia modesta opinione.
Per iniziare consideriamo il monologo di Gendo al cospetto dell’Eva-01, che si svolge nella versione Director’s Cut dell’episodio 24 e nel volume 11 del manga.
Il tempo a noi concesso è ormai prossimo al suo termine. Però la Lancia di Longinus, ostacolo ai nostri desideri, è ora perduta. Presto comparirà l’ultimo Angelo e cancellatolo i nostri desideri si avvereranno. Ormai manca poco, Yui.
In questo dialogo osserviamo tre cose:
• Gendo si è impiantato l’embrione di Adam per la realizzazione del proprio piano;
• Gendo è contento che la Lancia sia andata perduta, poiché era un ostacolo per il suo piano;
• Gendo afferma che i suoi desideri coincidono con quelli di Yui.
Se abbiamo già esaminato i primi due punti, riguardo al terzo ci sono delle precisazioni da fare in quanto ci sono delle importanti differenze tra l’idea di Yui e quella di Gendo.
Per iniziare l’analisi del piano di Yui parto dalla fine, cioè da una citazione del suo monologo nel finale di The End of Evangelion:
YUI: Se l’animo accoglie un’autentica speranza del vivere, allora qualsiasi mondo può essere un paradiso. […] L’essere vivi offre la possibilità di trovare la felicità ovunque.
Yui sottolinea l’importanza della vita e di come questa sia la base necessaria per poter sperimentare la felicità. Questo pensiero di Yui viene esplicitato già nell’episodio 20 e nel volume 8 del manga.
Inoltre all’inizio del film, nella riunione con la Seele, si è visto che Fuyutsuki afferma che per Yui:
L’uomo onora la propria esistenza solo nell’atto di desiderare la vita. Questo era il volere di Yui nel giorno in cui scelse di salire a bordo dell’Eva.
Questi indizi ci forniscono il fondamento della filosofia di Yui: la vita è preziosa e il desiderio di vivere è fondamentale.
Citiamo il dialogo tra Yui e Fuyutsuki nella versione Director’s Cut dell’episodio 21; anno 2003, Hakone, Lago Ashino:
FUYUTSUKI: Anche oggi lo stesso clima di sempre. Secondo le Pergamene del Mar Morto, il Third Impact si verificherà inevitabilmente tra circa 10 anni.
YUI: Evitare la tragedia finale è lo scopo di organizzazioni come la Seele e il Gehirn.
FUYUTSUKI: Approvo i tuoi intenti, Yui, ma non quelli della Seele.
YUI: Dottor Fuyutsuki, aprire al mondo quei sigilli sarebbe tremendamente pericoloso.
FUYUTSUKI: Ho consegnato tutto il materiale a Ikari. Certo non sarebbe una cosa fattibile per una singola persona. I passati propositi non saranno ripresi. Per quella gente sarebbe davvero cosa da poco cancellare la mia esistenza.
YUI: Anche per coloro che sono sopravvissuti può essere molto facile eliminare le persone.
FUYUTSUKI: Non per questo tu devi necessariamente divenire un soggetto di sperimentazione.
YUI: Tutto scorre con la corrente. Per questo io sono nella Seele. Per Shinji.
Citiamo la prosecuzione del dialogo tra Yui e Fuyutsuki – The End of Evangelion (seconda edizione italiana, ovvero quella Dynit): anno 2003, Hakone, Lago Ashino:
FUYUTSUKI: L’uomo costruisce gli Eva a immagine e somiglianza di dio. È questo il nostro scopo?
YUI: Sì. La sua unica alternativa è vivere su questo pianeta. Invece gli Eva, loro sono in grado di vivere in eterno. Custodiscono per sempre l’animo umano che in essi dimora. Anche tra cinque miliardi di anni, quando la Terra, la Luna e perfino il Sole saranno scomparsi loro potrebbero sopravvivere ancora. Se anche uno solo tra loro rimanesse in vita, per quanto sopportando la più atroce delle solitudini…
FUYUTSUKI: … sarebbe una prova eterna dell’esistenza umana.
Considerazioni
Nella prima parte del dialogo si capisce che Yui e Fuyutsuki sanno entrambi che la Seele non vuole evitare il Third Impact, e il professore rivela alla donna che è dalla sua parte, in quanto lei è intenzionata a evitare la fine del mondo.
Fuyustuki dice di aver consegnato tutto il materiale top secret a Gendo e dichiara che smetterà di ostacolare la Seele, altrimenti rischierebbe di morire e inoltre da solo non sarebbe in grado di fermarli. L’unico modo per ostacolare il progetto aberrante della Seele è agire nell’ombra fingendo di stare dalla loro parte. Per questo Fuyutsuki si allea con Yui.
A questo punto viene svelato che Yui vuole sottoporsi all’esperimento con l’Eva-01, e dalla sua ultima battuta traspare, seppur in modo sibillino, l’indizio che lei vuole rimanere volontariamente all’interno dell’Eva in forma di anima, di modo che possa vivere per proteggere Shinji e l’esistenza di tutta l’umanità fino al giorno del Third Impact. Per questo motivo Yui rifiuterà volontariamente l’estrazione dallo 01 quando il Gehirn proverà a recuperarla con la procedura di salvataggio.
Quando Yui dice “tutto scorre” si riferisce all’inevitabilità del Third Impact, perché la Seele è troppo potente e riuscirà a scatenarlo, e al fatto che unicamente tramite lo 01 lei avrà la possibilità di essere presente il giorno del disastro per salvare Shinji e la vita degli esseri umani.
Si osservi come talvolta lo sguardo Fuyutsuki indugia sul seno di Yui, probabilmente un riferimento all’interesse del professore nei confronti della donna.
Infine consideriamo il seguente dialogo tratto dall’episodio 21 (manga volumi 5 e 8) – Esperimento di contatto tra Yui e l’Eva-01:
FUYUTSUKI: Ikari, questo non è un giardino d’infanzia. Oggi è un giorno importante.
YUI: Le domando scusa, dottor Fuyutsuki, sono stata io a portarlo.
FUYUTSUKI: Ma Yui, proprio oggi, il giorno del tuo esperimento…
YUI: Esattamente per questo. Vorrei mostrare al mio bambino il nostro splendente futuro.
Di seguito la mia interpretazione del piano di Yui.
Interpretazione
Yui considera preziosa la vita e ritiene il Third Impact inevitabile, perciò l’unico modo per permettere la continuazione della vita umana risiede negli Eva; infatti se gli Eva verranno dotati di Motore S² potranno vivere in eterno e potranno custodire le anime umane infuse in essi, anche quando l’ambiente atto alla vita umana sarà scomparso.
In particolare, stando al progetto dell’arca menzionato da Gendo e Fuyutsuki e considerando i vari dialoghi di Yui, si può ipotizzare che lei voglia usare l’Eva-01 come arca per trasportare le anime umane in un nuovo mondo, letteralmente un nuovo pianeta, o al limite per riportarle sulla Terra stessa dopo il Third Impact provocato dalla Seele. Dunque il piano di Gendo e Fuyutsuki non riprende altro che quello di Yui, la vera mente dietro a quest’idea.
Tutto ciò prende spunto dal Diluvio Universale presente nell’Antico Testamento, dove Noè costruisce un’arca per salvare animali e persone secondo quanto stabilito da Dio. Tra l’altro anche l’innalzamento delle acque degli oceani a causa del Second Impact si può considerare, almeno in parte, come un riferimento al Diluvio.
Il medesimo riferimento era già stato utilizzato in Nadia – Il mistero della Pietra Azzurra dove gli Atlantidi avevano lasciato il loro pianeta attraverso astronavi denominate Arche (e.g. il Red Noah) e con il senno di poi il tutto si lega anche a quanto fatto dalla FAR nel videogioco Neon Genesis Evangelion 2: creare dei Vettori in cui inserire le anime degli abitanti della loro civiltà per poi lanciarli nello spazio verso nuovi mondi, in modo da proteggerli dalla misteriosa estinzione che li minacciava.
Anche nel peggiore dei casi, cioè qualora l’Eva dovesse vagare solitario nel cosmo per miliardi di anni, fino a che una sola anima vivrà, custodita in esso, questa sarà l’eterna testimonianza dell’esistenza dell’umanità.
Una seconda considerazione da fare sul piano di Yui riguarda il fatto che l’Eva-01 non è solo un’arca con cui proteggere l’umanità ma è anche uno strumento concreto con cui è possibile fermare il progetto della Seele. Notiamo infatti che sia nel film che nel manga lo 01 fuoriesce da Lilith e distrugge sia lei che la Serie degli Eva. Tuttavia tra film e manga ci sono alcune differenze sostanziali: in primo luogo nell’opera cartacea non è presente il dialogo di The End of Evangelion sugli Eva che vagano nell’universo con il carico di anime umane, in secondo luogo Sadamoto fonda tutto il piano di Yui su una promessa stretta da questa con il figlio:
Shinji… non dimenticare. Scambia una promessa con la mamma. Promettimi che d’ora in avanti, qualunque cosa accada… proteggerai la felicità delle persone di tutto il mondo.
Arrivati al giorno del Third Impact la Seele si trova costretta a utilizzare lo 01 come centro del rituale e Shinji diventa così il soggetto atto a compiere la scelta: annientare o salvare l’umanità?
Ricordando la promessa fatta alla madre, Shinji decide di interrompere l’unificazione delle anime permettendo così la loro liberazione e la possibilità di una rinascita, esattamente come desiderava Yui. Senza dubbio da un punto di vista più realistico il piano di Yui è alquanto azzardato, tuttavia trovo che si sposi bene non solo con la trama intrecciata da Sadamoto ma anche in generale con il percorso di formazione di Shinji e con il messaggio di Evangelion: porre un ragazzo abulico dinnanzi alla scelta concreta di soddisfare il proprio capriccio adolescenziale di nichilismo oppure mostrargli una speranza.
Nel film vale questa interpretazione? Non proprio nel modo suddetto, in quanto Yui non ha stretto alcuna promessa con Shinji, ma si può comunque vedere come un piano B per proteggere la vita.
Infatti nel finale di The End of Evangelion, dopo che Shinji rifiuta il Perfezionamento, Yui è soddisfatta del risultato ottenuto e dice al figlio che ciascun essere umano potrà ripristinare la propria forma individuale per tornare a vivere sulla Terra:
Tutti gli esseri viventi possiedono la capacità di riacquistare la propria forma umana e il desiderio di continuare a vivere.
Riepilogo
Dalle considerazioni fatte direi che, in sintesi, l’obiettivo primario di Yui è proteggere la vita umana dall’impossibilità di una rinascita, e per farlo intende usare l’Eva-01 come uno strumento con cui far fallire il piano della Seele e come un’arca che, in primo luogo, proteggerà l’umanità dal Diluvio/Third Impact e che, in secondo luogo, riporterà le anime umane sulla Terra o le trasporterà su qualche nuovo pianeta. In definitiva lo “splendente futuro” auspicato da Yui è la salvezza dell’umanità dalla fine del mondo grazie all’Eva.
Si noti che nel manga il romantico Sadamoto ha affiancato Gendo a Yui, dopo che l’anima di questo viene salvata; chissà che vacanza tra le stelle faranno! Viceversa nel film non è ben chiara la fine di Yui: rimane sull’Eva-01 in tremenda solitudine, come sembrerebbe suggerire il dialogo al lago?
Differenza tra il piano di Yui e il progetto di Gendo
Per chiudere è necessario esplicitare la differenza tra il piano di Yui e quello di Gendo.
Sia nell’anime che nel manga sappiamo che Gendo è un personaggio introverso che ha difficoltà a esprimere i propri sentimenti e soprattutto non riesce a concepire che qualcuno possa amarlo; come viene esplicitato in The End of Evangelion Gendo è un uomo terrorizzato dalla distanza che esiste tra le persone.
Non riuscendo a superare la sofferenza per la perdita di Yui, l’unica donna che ha scoperto e amato la sua sensibilità e gentilezza, Gendo ricade nel buio, si chiude in se stesso e inizia a desiderare di ricongiungersi alla moglie per l’eternità. A ciò si aggiunge il fatto che anche secondo lui, proprio come per la Seele, l’umanità necessita della pace dell’animo, ma tuttavia al contempo deve essere salvata dalla soluzione distruttiva ambita dalla Seele.
Dunque sebbene Yui e Gendo vogliano entrambi sfruttare l’Eva-01 per proteggere l’umanità dal piano della Seele, la differenza tra i rispettivi obiettivi si può sinteticamente definire in due punti:
1. Intenzionalità del Third Impact:
• Gendo lo vuole provocare e controllare di persona;
• Yui non vuole provocarlo, semplicemente sa che la Seele lo farà accadere e quindi pianifica un modo per salvare l’umanità dall’evento;
2. Utilizzo dell’Eva-01 e motivazione di fondo del piano:
• Gendo vuole usare lo 01 divino come arca per realizzare il Perfezionamento dell’umanità, elevandola a un dio. La motivazione di Gendo si fonda sul desiderio di ricongiungersi a Yui e sulle considerazioni di cui sopra, tra salvezza dell’umanità e realizzazione della beatitudine eterna, per questo più che proteggere la singolarità di ogni essere umano lui vuole colmare le lacune dell’animo rendendo il prodotto finale un unicum privo di afflizioni;
• Yui vuole usare lo 01 divino come arca/strumento per proteggere l’umanità per poi riportarla sulla Terra, in un nuovo mondo o comunque per farla sopravvivere in qualche modo. La motivazione di Yui si fonda sulla preziosità della vita e dunque vuole preservare la vita delle persone in tutte le sue forme e colori.
Yui cerca di salvare le sfumature della vita, Gendo vuole spingere l’umanità alla beatitudine.
Questa è la differenza tra i due piani, o meglio tra le mentalità di questi due personaggi.
Sia il desiderio di ritorno al passato della Seele che quello di avanzamento nel futuro di Gendo sono fughe dalla realtà, non solo in termini di progetti ma soprattutto in termini di mentalità. Viceversa Yui, specialmente nel manga, si focalizza sul presente, nella totale accettazione della vita per ciò che essa è nella sua naturalezza, e ciò ne fa un personaggio adulto.
Dunque il Progetto per il Perfezionamento è come una scorciatoia per creare in modo forzato una beatitudine ad hoc e Yui è ben consapevole che ciò è un inganno, in quanto la serenità e la felicità non possono che essere vissute nella vita reale in cui sono indissolubilmente presenti anche il conflitto e la sofferenza.
In tutto ciò si noti come gli Angeli, nel loro rappresentare le inquietudini di un’epoca, sono di fatto gli emblemi di quelle sofferenze indissolubili che accompagnano la vita umana. In quest’ottica il fatto di ostacolare l’umanità nel percorso per ottenere la beatitudine totalizzante assume un significato maggiore, in quanto quella che viene proibita è una salvezza escapista ottenuta attraverso una scorciatoia, esattamente come nella Bibbia i cherubini proibiscono l’ingresso all’Eden in modo da impedire all’Uomo di ottenere la vita eterna con il semplice gesto di mangiare un frutto.
Infine, per quanto riguarda Fuyutsuki penso che questi stesse dalla parte di Yui, ciò lo si comprende non solo dal dialogo in The End of Evangelion o nel fatto che lui sia l’unico che nel manga conosca le vere intenzioni di Yui, ma anche già durante la serie si evince che il professore non appoggia totalmente gli intenti di Gendo. Mi riferisco al dialogo al Polo Sud dell’episodio 12 dove Fuyutsuki afferma di preferire un mondo in cui sia possibile la vita anche se macchiata dal peccato.
Il fenomeno otaku
Come accennato nell’introduzione, il secondo fenomeno nato in Giappone che vogliamo prendere in considerazione è quello degli otaku. Nella prosecuzione di questo articolo traccerò prima un sintetico schema storico e poi proporrò alcune considerazioni sul fenomeno otaku. Poiché il nostro interesse rimane comunque legato a Evangelion non andrò troppo a fondo ma mi limiterò a delineare uno scenario di massima.
Originariamente il termine お宅 (otaku) significa letteralmente “presso la vostra casa” ma è anche utilizzato come pronome di seconda persona onorifico per riferirsi in modo formale a una persona che non si conosce bene (in italiano corrisponde a dare del Voi in modo ancora più formale).
Il 22 febbraio 1981, in occasione dell’uscita cinematografica del primo film di Gundam, presso l’uscita est della stazione di Shinjuku a Tokyo ebbe luogo un raduno di 15000 fan della serie, che iniziarono a radunarsi fin dalle 8 del mattino del giorno prima: questo evento passò alla storia con il nome di “Proclamazione della nuova era dell’animazione” (アニメ新世紀宣言 Anime shin seiki sengen). Molti fan giunsero vestiti come i personaggi di Gundam (fu il preludio al fenomeno del cosplay) e uno di essi, in costume da Char Aznable, lesse il documento della proclamazione della nuova era mentre veniva ripreso dalle telecamere dei telegiornali e trasmesso in diretta nazionale. Questo ragazzo era Nagano Mamoru, che in seguito sarebbe diventato famoso come autore di The Five Star Stories.
Nel 1982 Shoji Kawamori e Haruhiko Mikimoto, creatori dell’anime Fortezza superdimensionale Macross, inserirono il termine otaku nella serie facendolo pronunciare al personaggio di Hikaru Ichijo di modo che fosse più formale rispetto al semplice “anata”, pronome di seconda persona corrispondente al Tu/Lei italiano. Se la cosa era un semplice divertimento tra Kawamori e Mikimoto, i ragazzi che videro Macross iniziarono a chiamarsi tra loro usando otaku e il termine si diffuse tra gli appassionati di anime e manga come soprannome peculiare.
Nel 1983 il giornalista Ansaku Shibahara, con lo pseudonimo di Akio Nakamori, scrisse alcuni articoli su questo strano fenomeno subculturale degli otaku, descrivendo i ragazzi appassionati di anime, manga e videogiochi che frequentavano il quartiere Akihabara a Tokyo.
La moderna forma gergale del termine si distingue dall’uso precedente tramite la scrittura soltanto in hiragana (おたく) o katakana (オタク o, meno frequentemente, ヲタク) o raramente con l’alfabeto latino.
Sempre Nakamori definì l’insieme di questi ragazzi una tribù, usado il termine おたく族 (otakuzoku).
Per Toshio Okada, autoproclamatosi Otaking (Re degli otaku), i ragazzi otaku erano il prototipo di una nuova umanità (新人類 Shinjinrui), più abile a elaborare informazioni e a resistere al disprezzo e alle pressioni della società.
Tali considerazioni si ricollegano bene a quanto detto nell’introduzione, infatti il modo di vivere abbracciato dagli otaku di prima generazione era un tentativo per colmare il vuoto personale, il relativismo e l’appiattimento che si percepiva nello scenario postmoderno, privo di certezze imperiture e in cui tutto cambia rapidamente, mediante l’impegno e la dedizione verso un insieme di interessi considerati di elevata qualità, prima in veste passiva, i.e. l’essere studiosi ed esperti di letteratura, sci-fi, tokusatsu, manga, anime, videogiochi, poi in veste attiva in qualità di produttori di nuove opere.
Nel seguito espliciterò un parere sociologico al riguardo, per il momento è interessante notare che quanto detto si collega a quanto fatto da Okada, Anno, Takeda e tanti altri negli anni Ottanta, come abbiamo visto nell’articolo dedicato alle fascinazioni della fantascienza citando il libro The Notenki Memoirs.
Nel 1989 in Giappone si verificò un terribile fatto di cronaca nera: uno squilibrato di nome Tsutomu Miyazaki seviziò, uccise e abusò di quattro bambine. Poiché l’abitazione di Miyazaki era piena di manga, anime, porno, splatter e horror, nell’opinione pubblica si venne a creare automaticamente l’associazione otaku = criminale.
Per distaccarsi da questa associazione gli otaku cercarono di integrarsi maggiormente nella società, diventando sempre più un fenomeno da subculturale a mainstream (giusto per fare un esempio in Genshiken si cerca di dare un’immagine degli otaku più integrata nella società: in questo manga si narrano le vicende di un gruppo universitario di otaku composto da persone che hanno contatti sociali e, in alcuni casi, sono fidanzate, in contrapposizione allo stereotipo dell’otaku che vuole deliberatamente vivere isolato ed è suo malgrado single).
In ogni caso lo status di otaku non è determinato da ciò che si colleziona, ma da come lo si fa: se è fatto in modo ossessivo, siamo di fronte a un otaku, che sia un otaku di fumetti, di modellini, di figurine, o di conchiglie raccolte al mare non cambia nulla.
Si definisce infine hikikomori (引きこもり) l’atto di auto-isolamento che può essere compiuto da una persona, che pertanto viene indicata con lo stesso termine; in questo stadio la persona segrega se stessa dal mondo rinchiudendosi volontariamente in camera per proteggere il proprio Sé evitando la società, la scuola, lo sport e i rapporti sociali, perfino quelli familiari. Il primo a studiare il fenomeno è stato lo psichiatra Tamaki Saitō.
Si tenga presente che l’otaku e l’hikikomori sono differenti: il primo è un collezionista ossessivo, il secondo è un individuo che riduce e rifugge volontariamente i contatti con il mondo esterno. Si può dire che un otaku può diventare hikikomori isolandosi, così come viceversa un hikikomori può diventare otaku iniziando a collezionare in modo maniacale. Inoltre l’hikikomori non è causato dalla dipendenza da internet, ma quest’ultima può scaturire durante l’isolamento.
Il fenomeno degli otaku e quello degli hikikomori sono nati tra gli anni Settanta e Ottanta in Giappone e le cause scatenanti sono definite da un intreccio che comprende la psicologia dell’individuo e l’ambiente sociale in cui egli è immerso. Nel seguito sono proposte delle considerazioni basilari soprattutto sul fenomeno otaku, in quanto è quello maggiormente correlato a Evangelion.
Ambiente
Come abbiamo presentato nell’articolo dedicato alle fascinazioni sci-fi, nel secondo dopoguerra e durante il periodo di crescita miracolosa il Giappone ha importato dall’estero e creato internamente numerose opere di narrativa, film, telefilm, manga e anime legati alla fantascienza.
Ciò ha rappresentato senza dubbio un primo tipo di bolla che ha assorbito e “protetto” i bambini e gli adolescenti facenti parte di famiglie sufficientemente benestanti da poter garantire loro tali svaghi ammalianti.
Nell’intervista di maggio 2007 pubblicata su The Atlantic Hideaki Anno fa le seguenti osservazioni:
Secondo Anno, l’attrazione giapponese verso personaggi come Rei Ayanami è dovuta alla sconfitta del Giappone nella Seconda Guerra Mondiale.
“Il Giappone ha perso la guerra con gli americani”, spiega, sembrando interessato alle proprie parole per la prima volta durante la nostra intervista.
“Da quel momento l’educazione che abbiamo ricevuto non è stata quella che forma degli adulti. Anche per noi, persone quarantenni e per la generazione più vecchia di me, non c’è stato un modello ragionevole di come dovrebbe essere un adulto. La teoria secondo cui la sconfitta del Giappone ha spogliato il paese della sua indipendenza e ha portato alla creazione di una nazione di bambini permanenti, deboli e costretti a vivere sotto la protezione dell’American Big Daddy è ampiamente condivisa da artisti e intellettuali qui in Giappone.
Ci sono molti fumetti popolari nei quali si parla di un governo che però si rivela essere solo una facciata che nasconde forze sinistre e più potenti.”
Anno si ferma un attimo e getta uno sguardo fuori dalla finestra.
“Non vedo alcun adulto qui in Giappone”, dice, con una scrollata di spalle.
“Il fatto che si vedono impiegati leggere manga e pornografia sui treni facendolo senza paura, senza vergogna o altro è qualcosa che non si sarebbe visto 30 anni fa, con le persone che erano cresciute sotto un diverso sistema di governo. Sarebbero stati troppo imbarazzati ad aprire un libro di fumetti o di immagini sporche su un treno. Ma questo è quello che abbiamo oggi in Giappone. Siamo un paese di bambini.”
Da questo estratto emergono diversi elementi importanti che si legano tra loro.
In primo luogo viene citata la sconfitta subita nella Seconda Guerra Mondiale, la conseguente occupazione americana e l’occidentalizzazione. In secondo luogo viene indicato che ciò ha favorito il dilagare della dipendenza sia in termini di paese, che in termini di individui. Abbiamo già visto come tutto ciò abbia due facce: da una parte lo sviluppo del benessere, dall’altra un disagio espresso per esempio nei manga e negli anime sotto forma di invasioni aliene o di guerre.
Come si nota tale questione è condivisa da diversi intellettuali in Giappone; ad esempio l’artista Takahashi Murakami nella mostra Little Boy (bisogna notare la doppia valenza del titolo, da una parte il richiamo alla bomba atomica sganciata su Hiroshima, dall’altra il riferimento a un popolo di ragazzini) ha presentato circa 1500 opere che riflettono l’infantilizzazione del Giappone, con il dilagare della cultura pop a causa degli eventi suddetti.
Il punto chiave è il fatto che i giapponesi hanno sentito venir meno la propria identità nazionale, che si è fortemente legata agli Stati Uniti d’America per via del materiale e della cultura importati, e per gli aiuti economici e tecnologici forniti, e quindi hanno intrapreso un percorso di ricerca di un’identità collettiva, ovvero come paese, e individuale, ovvero come singole persone.
Secondo il sociologo Masachi Osawa la storia del Giappone del dopoguerra può essere suddivisa in due periodi: l’era degli ideali dal 1945 al 1970 e l’era delle finzioni dal 1970 al 1995.
Durante l’era degli ideali si intraprese con abnegazione la strada della ricostruzione del Giappone e in questo periodo le Grandi Narrazioni funzionavano di per sé, nel senso che erano sentite attivamente dalla popolazione, basti pensare al neo-positivismo verso la scienza e al progresso tecnologico ed economico che hanno caratterizzato il Sol Levante fino al culmine raggiunto con l’Expo di Osaka; in questo periodo la ricerca dell’identità nazionale e individuale era legata a elementi riscontrabili nella realtà. Si deve però tener presente che l’era degli ideali non è stata tutta rose e fiori, tutt’altro, anch’essa fu colpita da problemi di vario genere, ad esempio il fatto che per dar luogo a un’esasperata industrializzazione aumentarono enormemente i livelli di inquinamento e si verificarono anche alcuni gravi disastri ambientali (e.g. disastro di Minamata, asma di Yokkaichi).
Viceversa nell’era delle finzioni iniziò a propagarsi un atteggiamento di sfiducia nelle Grandi Narrazioni e cominciarono a diffondersi le caratteristiche della postmodernità.
Tra i vari motivi che permisero lo sviluppo di questa situazione mi limito a dare alcuni piccoli spunti: in primo luogo le aspettative riposte nei movimenti politici, nella contestazione giovanile e nella tecno-scienza non avevano trovato il riscontro sperato, in secondo luogo l’assimilazione continua di una grande quantità di correnti filosofico letterarie occidentali in un lasso di tempo ristretto non aveva permesso ai giapponesi di metabolizzare in maniera critica tutto il materiale concettuale associato, motivo per cui l’ideologia postmoderna non è scaturita come reazione a una modernità estremizzata come accaduto in occidente ma si è diffusa in modo più “facile” come se fosse una nuova corrente culturale, in terzo luogo rispetto alla generazione uscita dalla guerra, la quale tra precarietà e rinunce era stata costretta dalle circostanze a impegnarsi per raggiungere una finalità di ampia portata, cioè risollevare il Giappone dalle macerie, le generazioni successive si sono trovate a vivere in un’atmosfera di prosperità e di tranquillità in cui hanno avuto una maggiore possibilità di adagiarsi. Quest’ultimo aspetto non si deve intendere nel senso che con il benessere è venuto meno l’impegno in società per far spazio all’ozio, bensì è da intendersi nel senso che le persone si sono sì impegnate per portare avanti lo sviluppo del Paese dal punto di vista urbano, industriale, economico e così via, ma nel singolo si è ridotta la percezione sensibile di una finalità condivisa e di ampia portata spaziotemporale, per far posto all’individualizzazione e al consumismo.
Quindi dal punto di vista postmoderno la Storia dell’umanità, o perlomeno quella dei paesi industrializzati, pare essere giunta al capolinea, e l’uomo, oramai circondato da un ambiente in cui può trovare con relativa facilità tutto quel che apparentemente gli serve, sembra sempre più simile a un animale che ricerca unicamente la soddisfazione immediata dei propri bisogni, reali o apparenti, attraverso il denaro.
In quest’ottica se da una parte l’ambiente di benessere era apprezzato, dall’altra si percepiva un senso di mancanza causato dalla monotonia del quotidiano e dalla rarefazione postmoderna degli ideali, quindi per dissociarsi da un consumismo fine a se stesso e per evitare di convivere con il vuoto, il relativismo e l’appiattimento scaturiti dalla mancanza di punti di riferimento, alcuni ragazzi iniziarono a interessarsi in modo peculiare all’animazione, in particolare a quelle storie che nel loro strato profondo avevano una generale e ben definita “concezione del mondo”, seppur di natura fantasiosa, e una finalità posta nel futuro narrativo da realizzare. Per il seguito è utile specificare che lo strato superficiale delle opere, definito da trama, fondali, atmosfere cromatiche, personaggi e relazioni, è detto piccola narrazione, mentre lo strato profondo, definito da ideali, finalità, significato dell’esistenza e cronologia storica, è detto grande narrazione fittizia.
Negli anni Sessanta le prime opere televisive a disegni animati erano in numero esiguo ed erano destinate ai bambini, i quali potevano passare dei momenti piacevoli in compagnia di personaggi coraggiosi, simpatici, buffi e magici come quelli presenti in Astro Boy, Kimba il leone bianco, Il fantasma Q-taro, Doraemon e Sally la maga. Nella prima metà dei Settanta hanno visto la luce numerose storie robotiche, anche grazie alla collaborazione delle aziende di giocattoli che da una parte finanziavano gli studi d’animazione e dall’altra producevano pupazzi e modellini dei mostri e dei robot per la felicità dei piccoli spettatori.
In seguito iniziando a mescolare il piano simbolico con quello reale, infarcendo il tutto con citazioni variegate, inserendo scenari di guerra, tematiche di rapporto uomo-natura, critica sociale e soprattutto grazie allo straordinario successo delle serie TV e dei film cinematografici di Corazzata spaziale Yamato, le opere d’animazione si sono diffuse sempre di più anche tra gli adolescenti, i quali hanno iniziato a chiamarle “anime”, abbreviazione di “animeshon” (traslitterazione giapponese del termine inglese “animation”, ovvero “animazione”) per cercare di dare un tono di dignità sia alle opere che, soprattutto, a se stessi.
Riportiamo un estratto da un’intervista a Hideaki Anno in cui egli racconta il travolgente entusiasmo provato per Yamato:
Anno: Ero in giro per il mio quartiere […] quando ho visto un annuncio relativo al primo episodio: “Nuova serie, Corazzata spaziale Yamato“. Il titolo mi affascinò immediatamente.
Nella nostra casa avevamo un televisore e il resto della mia famiglia voleva guardare Heidi, ma io volevo Yamato. Questo è il modo in cui questa serie mi ha attratto e mi ci sono appassionato. […]
Sono uscito per strada e ho fatto proselitismo. Ho detto a tutti i miei compagni di scuola: “Guardate Yamato!” […] Se non fosse stato per questa serie, non credo che avrei fatto questo lavoro. […]
Yamato era epica. E ci ha fatto sentire come se stessimo guardando per la prima volta una cosa per adulti. Non era [un’opera] diretta ai bambini. La musica era molto adulta, troppo. […] è per questo che ora sono qui.
(NdNevicata: come già specificato in precedenza, per rintracciare nel testo in inglese il passo in questione vi forniamo il seguente riferimento: New series, Space Battleship Yamato)
Grazie all’ambiente di benessere con il passare degli anni il fenomeno si è ampliato – anime boom – e tra astronavi, robottoni, idol, principesse guerriere, commedie scolastiche, racconti sportivi tra sogni e sacrifici, storie d’amore romantiche e altre volte bislacche, avventure fantasy e chi più ne ha più ne metta, sempre più ragazzi e giovani adulti si sono appassionati a queste opere generando una vera e propria subcultura, ovvero quella degli otaku. Tra questi troviamo Okada, Anno e tanti altri che negli anni Settanta hanno vissuto l’animazione da spettatori entusiasti, e poi negli anni Ottanta sono diventati animatori, registi, produttori e così via.
In relazione a ciò ritengo sia utile citare Otaku no video, OVA realizzato dalla GAiNAX nel 1991, che tra spezzoni animati e interviste a otaku ed ex-otaku mostra varie peculiarità di questo fenomeno, e in particolare riprende, un po’ alla lontana, proprio la storia della General Products e della GAiNAX.
Per farla breve, nell’era delle finzioni si possono riscontrare tre generazioni otaku:
• Prima generazione: giapponesi nati intorno agli anni Sessanta che hanno iniziato a guardare le prime serie TV d’animazione da bambini, hanno imitato i supereroi delle serie a effetti speciali, hanno visitato l’Expo di Osaka e negli anni Settanta, da adolescenti, si sono appassionati alla fantascienza e alle grandi narrazioni fittizie contenute in Yamato e in Gundam;
• Seconda generazione: giapponesi nati intorno agli anni Settanta che negli anni Ottanta hanno potuto godere dell’anime boom e della subcultura otaku al suo massimo livello. In questo periodo aumentano le piccole narrazioni incentrate sulle vicende di personaggi in cui gli spettatori possono identificarsi maggiormente (scuola, sogni, dubbi, passioni etc.). Molti appassionati della prima generazione diventano produttori di nuove opere, nasce il mercato degli OVA, e iniziano a essere realizzate storie fatte da otaku per altri otaku. Inoltre arrivano le prime console per videogiochi a uso domestico;
• Terza generazione: giapponesi nati negli anni Ottanta e dunque adolescenti negli anni Novanta che hanno guardato Sailor Moon, Rayearth, Slam Dunk, Evangelion e molto altro. In questo periodo si estende la passione per i videogiochi e inizia la diffusione di internet e del web.
A questo schema si può aggiungere una sorta di “pre-otakuzoku”, un insieme eterogeneo di ragazzi che sono stati adolescenti o giovani adulti nel periodo che va dalla seconda metà degli anni Quaranta fino alla fine degli anni Sessanta e che hanno letto e guardato con particolare interesse i primi manga e i primi film d’animazione, o hanno addirittura creato o partecipato alle realizzazione di alcune di queste opere. Il periodo in questione è racchiuso all’interno dell’era degli ideali ed è caratterizzato da alcune delle cose discusse nell’articolo dedicato alla fantascienza, dal Giappone che si rialza e che inizia a crescere economicamente, alla diffusione della letteratura e dei film occidentali. Sull’onda dei classici Disney, come Biancaneve, Bambi e Cenerentola, anche in Giappone iniziarono a essere realizzate opere cinematografiche d’animazione, da La leggenda del serpente bianco (1958) fino a La grande avventura di Hols (1968), ed è in questo ambiente di rinnovamento che troviamo persone come il “dio dei manga” Osamu Tezuka, l’animatore Yasuo Otsuka, il giovane e ancora sconosciuto Hayao Miyazaki e tanti altri.
Analogamente dopo la terza generazione otaku si può considerare la “postmodernità dell’otakuzoku” (all’incirca dopo il 1995/1997), e dunque gli otaku si trasformano in post-otaku. In questo periodo si diffondono (quasi) totalmente le piccole narrazioni prive di una grande narrazione fittizia nello strato profondo, indice del fatto che gli autori e gli spettatori non sentono (quasi) più la necessità di una “concezione del mondo” di carattere generale sottostante, si trovano veri e propri franchise come Pokémon, Pretty Cure, Kantai Collection, Clannad, K-On, Sword Art Online e tanti altri, si propaga il fenomeno del moe, vengono prodotte e vendute svariate console per videogiochi, si dirama la banda larga, nasce lo streaming e così via.
Al netto di qualche differenza sia per Toshio Okada che per Hiroki Azuma la tribù degli otaku è nata come una sorta di élite dalle sfumature intellettuali e snob, i cui componenti si opponevano formalmente all’ambiente in cui vivevano, accettando il disprezzo pubblico e isolandosi dalla società, per coltivare e studiare quelle che ritenevano essere opere d’artigianato di elevata qualità, sia in termini di forma che di contenuto.
Possiamo idealmente suddividere lo studio di un’opera compiuto da un otaku in tre parti: la prima è quella nozionistica, cioè cercare e memorizzare qualsiasi tipo di dettaglio, dagli elementi che compongono un’astronave alla strategia di combattimento messa in atto in una scena di guerra, la seconda è cercare i legami tra opere affini, dalle immagini alle battute, e infine la terza è determinare criticamente i legami e i significati contenutistici con altre opere, con sensazioni emotive e con tematiche sociali, si pensi ad esempio alla guerra contro gli invasori spaziali come metafora dell’occidentalizzazione subita dal Giappone.
Tuttavia, nonostante la presenza in molte di queste storie di osservazioni e critiche anche importanti e argute al mondo e alla società, le opere create dal 1970 al 1995 non sono altro che grandi finzioni a cui l’otaku fingeva di credere, in modo più o meno conscio, non tanto sul piano della forma – l’otaku è consapevole del fatto che un disegno è solo una rappresentazione di un oggetto reale [anche se talvolta i disegni possono essere relativi a oggetti puramente fantasiosi, e.g. un drago, una fenice etc.] – quanto piuttosto sul piano della trama, su quello delle emozioni e su quello del contenuto, i quali sviluppandosi sia nella realtà che nella finzione su livelli di tipo mentale, sensoriale e astratto, possono indurre erroneamente a percepire e a considerare le due dimensioni come paritarie e interscambiabili sotto questi aspetti quando in verità rimangono comunque differenti (e.g. a livello di intrinseca complessità).
In parole povere è necessario tenere in conto due fatti: da una parte la mentalità con cui uno spettatore si approccia a un’opera, da quella passiva, costituita dal carico di aspettative razionali ed emotive che si desidera e che ci si aspetta di ricevere, a quella attiva, costituita dall’atto di approfondimento, dall’altra il fatto che il medium con cui viene veicolato un contenuto ne influenza la complessità, la portata e il grado di penetrazione.
Si faccia attenzione al fatto che l’otaku non è un malato mentale che non riesce a distinguere la realtà dalla finzione, piuttosto egli ritiene che quest’ultima sia più utile rispetto alla realtà sociale per delineare se stesso e per intraprendere relazioni con gli altri. In sostanza poiché l’otaku vive in modo totalizzante tali passioni legate alla finzione, dalla letteratura sci-fi ai tokusatsu, dai manga agli anime, queste sono diventate come un filtro attraverso cui guardare il mondo.
Dunque l’otaku iniziò a immergersi in modo sempre più totalizzante in queste finzioni vivendole snobisticamente e auto-ingannandosi, inconsciamente o meno, con esse, poiché fuori nella realtà non riusciva a trovare nulla (o si era autonomamente convinto di ciò) che fosse così importante e immaginifico come le grandi narrazioni fittizie di cui si cibava. In altre parole il senso della vita di questi individui smise di essere legato a ideali vigenti e riscontrabili nella realtà e che si potevano praticare abitualmente e attivamente, e venne soppiantato da un senso della vita legato a buoni propositi vissuti unicamente in modo formale tramite l’appartenenza all’otakuzoku (partecipare alle fiere del fumetto, alle convention a tema etc.) e attraverso la fruizione di storie di fantasia, con i loro contenuti vividi, complessi e profondi solo fino a un certo punto.
Combattere la decadenza della società nell’epoca postmoderna e il vuoto conseguente attraverso strumenti fittizi, tra l’altro tratti dal sistema stesso, per sedare le inquietudini dell’animo. Non è forse come un serpente che si morde la coda? Spento il televisore cosa rimane? Nulla.
Come si intuisce, e come vedremo meglio in seguito, gli otaku sono soprattutto ragazzi schivi, timidi e introversi, che hanno un senso di giustizia infantile e che anche con la maggiore età continuano a sentirsi coinvolti e più a proprio agio con i prodotti per bambini/ragazzi che con quelli per adulti.
Riepilogando: da una parte le grandi narrazioni fittizie permettono di sopperire alla necessità di grandi ideali e danno luogo a una sensibilizzazione e a una sublimazione che però sono puramente superficiali e formali, dall’altra le piccole narrazioni permettono l’identificazione con i personaggi e l’immersione in storie, sia fantasiose che dalle sfumature quotidiane (e.g. slice of life), in cui vivere in modo illusorio sogni ed emozioni. In tal modo queste due “strutture” riescono a sovrapporsi ai vari corrispettivi aspetti del mondo reale, dando così all’animo dell’individuo quello che davvero cerca in profondità: una catarsi attraverso la fantasia.
In tutto questo calderone un caso a sé stante è quello del World Masterpiece Theater, un vero e proprio progetto di serie animate tratte da svariati romanzi per ragazzi della letteratura mondiale occidentale, nato dopo lo straordinario successo della serie TV Heidi che nel 1974 aveva eclissato la prima serie di Yamato.
Rispetto alle opere coeve le serie di questo progetto avevano quantomeno una “capacità culturale”, ovvero davano un input per la conoscenza di una cultura diversa, e si distanziavano in modo evidente dalle storie per otaku sia per stile che per tematiche; non a caso in questo settore ha lavorato anche Isao Takahata, grande intellettuale nonché uno dei pilastri dell’animazione giapponese e futuro regista dello Studio Ghibli, che per il World Masterpiece Theater ha realizzato Marco – dagli Appennini alle Ande (1976) e Anna dai capelli rossi (1979).
Per concludere, secondo Hiroki Azuma che cita Toshio Okada:
Uno dei pilastri della sensibilità otaku è costituito da una sorta di distacco: “benché essi sappiano di essere ingannati, sono capaci di essere sinceramente emozionati”. Gli otaku sanno quanto insulsa sia la loro “tendenza a guardare, da adulti, fantasiosi programmi televisivi riservati ai bambini”.
[…] Come spiega Okada, la sensibilità otaku si fonda proprio sull’estrarre un valore formale e “un’idea sensata” da ciò che è nei fatti insulso.
In definitiva la ricerca dell’identità e del senso di appartenenza si sono spostate dalla realtà alla finzione, e tale processo è diventato sempre più forte man mano che il fenomeno degli otaku è cresciuto: persone che si impegnano con contenuti pseudo-profondi apparentemente per resistere al vuoto, ma in realtà il tutto non è che un autoinganno in quanto il vero obiettivo è fuggire, ad esempio per motivi psicologici, dall’impegno concreto in società, per avvinghiarsi a un’eterna adolescenza in un modo così compulsivo da far sì che la loro mentalità rimanga tanto debole e infantile da non maturare mai lo status psicologico adulto, e così continuano a rimanere coinvolti e riescono perfino a emozionarsi in modo sincero leggendo e guardando opere di fantasia e/o giocando a giochi virtuali. Questo fatto è molto interessante e ci tornerò ancora sia in questo stesso articolo che nei successivi.
Le considerazioni svolte ci portano a concludere che le motivazioni soggiacenti alla costruzione delle grandi e piccole narrazioni fittizie e alla nascita del fenomeno otaku non siano da ricercare solo su un piano socio-filosofico, comprendente l’occidentalizzazione, l’ambiente di benessere, la necessità di idealismi e così via, altrimenti sarebbe come dire che due persone diverse poste nella medesima situazione si comportino nel medesimo modo. Pertanto un ulteriore tassello che è necessario considerare è l’individuo in quanto tale, ovvero la psicologia che può portarlo ad amare questo tipo di svaghi a un punto tale da renderli un’ossessione.
Alcune considerazioni sulla psicologia otaku
Poiché il nostro interesse è comunque limitato a Evangelion, il discorso non sarà eccessivamente approfondito ma rimarrà molto circoscritto. Inoltre in questa sede poniamo solo una base di osservazioni utili, le quali saranno poi richiamate e arricchite nell’articolo dedicato al finale, sempre nei limiti dei nostri obiettivi.
Un fenomeno psicologico che sembra essere comune e peculiare nella società giapponese è l’amae (甘え) ovvero la “dipendenza dalla benevolenza altrui”, studiato per la prima volta dallo psicoanalista Takeo Doi nella seconda metà del Novecento. In Giappone infatti si usano inchini, forme verbali condizionali, suffissi (e.g. -chan, -kun), termini come senpai, kohai, e tante altre peculiarità che contribuiscono a generare rapporti permeati da un’”atmosfera di benevolenza”, seppur costruita ad hoc.
Simbolicamente il rapporto a cui si rifanno queste situazioni è quello tra madre e figlio.
In Giappone il padre è ancor oggi molto legato alla figura di colui che deve lavorare per garantire il sostentamento economico della famiglia, mentre la madre si occupa della casa e dell’educazione dei figli e questi possono maturare una forma di dipendenza e attaccamento verso la figura materna e verso una certa “atmosfera” di soffusa accondiscendenza, caratteristica della vita infantile che si cerca di protrarre il più a lungo possibile.
È interessante notare che in Evangelion è presente anche una traccia musicale che riguarda la dipendenza infantile patologica, “Infantile Dependence, Adult Dependency” ovvero: Dipendenza infantile non risolta con la crescita = Adulto patologicamente dipendente.
Essa si può ascoltare per esempio nel finale dell’episodio 25 TV, esattamente nel momento in cui viene detto a Shinji che il mondo chiuso è qualcosa da lui desiderato, in conseguenza della sua necessità di dipendenza.
Nel seguito della discussione sono citate alcune fobie psicologiche, ma è doveroso specificare che non c’è nessuna pretesa di parlarne approfonditamente, o ancor peggio da un punto di vista professionale, magari con il risultato di sminuirle.
Nella formazione della personalità di un individuo concorrono fattori biologici, genetici, cognitivi e ambientali. Dunque in primo luogo ci sono delle caratteristiche innate che definiscono le differenze individuali nella risposta all’ambiente, nella risposta automatica agli stimoli emozionali, e nella predisposizione allo sviluppo di determinati tratti della personalità e di disturbi di essa. Ciò significa che se una persona è predisposta geneticamente a un disturbo, ad esempio la depressione, allora la probabilità che questo insorga diventa più alta della media – i.e. rispetto a persone non predisposte – solo in concomitanza di certi contesti ambientali.
In secondo luogo la personalità dipende dall’ambiente e dalla capacità dell’individuo di comprendere le relazioni tra gli eventi mediante la riorganizzazione concettuale delle percezioni e delle esperienze sul proprio conto, sulle altre persone e sull’ambiente circostante.
Nel seguito e nei prossimi articoli si farà riferimento alla personalità esclusivamente in termini psicologici e sociali, tenendo conto dell’influenza ambientale ma tralasciando, per ovvi motivi, le considerazioni genetiche.
Il tratto della personalità che prendiamo in esame è la timidezza, peculiarità psicologica e comportamentale che può emergere nel bambino a seconda del tipo di relazioni vissute con i genitori e in generale nell’ambiente familiare in cui è immerso.
Se in famiglia c’è una atmosfera di eccessiva iper-protezione e indulgenza, se si parla poco, se non si instaura un rapporto di confidenza e complicità, se i genitori sono timidi e riservati verso gli altri, se ci sono pochi contatti sociali, se c’è abitudinarietà e solitudine, o ancora se l’atteggiamento educativo è troppo critico, carente o inadeguato, un figlio può inibirsi e provare incertezza, insicurezza, imbarazzo e vergogna ad aprirsi e a esprimersi realizzando così un comportamento schivo non solo con gli altri ma anche all’interno dell’ambiente familiare. Per certi versi rende difficile esprimersi, comunicare, confidarsi e lasciarsi andare.
La timidezza non è una patologia se non quando diventa eccessiva, i.e. quando i disagi diventano così marcati da far emergere il meccanismo di difesa psicologico dell’evitamento, per cui un individuo si rifiuta di fronteggiare situazioni, oggetti o persone che generano angoscia, ansia e addirittura paura; in tal caso scaturisce la fobia sociale e il disturbo evitante di personalità.
Un tratto psicologico collegabile a un ambiente di forte iper-protettività, indulgenza e a una forma eccessiva di timidezza e di ansia sociale, è quello di una mentalità che ricerca un livello estremo di controllo e “limpide sfaccettature”, e.g. tranquillità, purezza, benevolenza, nella propria psiche, nella percezione sensoriale della psiche delle altre persone, nei legami che si possono creare con queste e nelle situazioni in generale. Chiamerò questa mentalità ipersensibile.
Una psiche di questo tipo cerca di rimanere immacolata, cerca continuamente di opporsi in modo evitante allo “sporco”, ai compromessi, alle contraddizioni e alla complessità del mondo reale. Informalmente potremmo definirla come una sorta di “misofobia psicologica”, una forma di repulsione che non riguarda lo sporco fisico ma bensì viaggia su un livello puramente mentale.
In tal caso se l’individuo non riesce a trovare queste qualità nell’ambiente reale e nelle altre persone, può tentare la ricerca delle stesse all’interno della fantasia, e ciò può portare, eventualmente, allo status di otaku. Anche per quanto riguarda l’hikikomori si può fare una considerazione analoga, infatti l’hikikomori si oppone alla società chiudendosi nella propria stanza perché riscontra varie problematiche sia nei rapporti tra persone, afflitti da incomprensioni, superficialità e ipocrisia, che nell’organizzazione e nelle dinamiche della stessa società, si pensi ad esempio alla competitività spietata presente nel mondo del lavoro o al fenomeno del bullismo scolastico. In questo senso l’otaku e l’hikikomori sono entrambi passivi, ovvero rifiutano la vita reale e non fanno nulla di attivo in essa.
Due esempi estremi e reali di disturbi che possono sfociare dall’ipersensibilità sono l’afefobia e l’erotofobia: la prima è il timore nevrotico del contatto con il prossimo per la violazione del proprio spazio intimo, mentre la seconda è una paura legata alla sessualità e agli argomenti a essa inerenti. Ad esempio nei maschi ipersensibili un compromesso per non affrontare e rifiutare la sessualità reale è quello di riversare il proprio bisogno fisiologico verso una fanciulla pura o anche esuberante, ma inoffensiva perché di tipo fittizio (e.g. fenomeni come il lolicon, il kawaii, il moe), o al massimo rivolgere la propria venerazione verso una idol. Poiché l’otaku è sommerso da fanservice erotico di tipo fittizio (disegni), egli è abituato a consumarlo come se fosse una cosa normale.
In tal senso le fobie dell’ipersensibilità non sono condizioni necessarie per provocare l’atto di auto-reclusione – che quindi può verificarsi anche in assenza di queste – ma possono, eventualmente, insorgere durante il periodo di isolamento.
Dunque per ciò che ci interessa non approfondiamo le fobie ma focalizziamo l’attenzione in un sottocaso di interesse, ovvero il fatto che nel periodo della pubertà gli individui si ritrovano in un momento di passaggio (non più bambini, non ancora adulti) in cui percepiscono fortemente il peso del divenire e dell’instabilità, e quindi soprattutto per i timidi e gli ipersensibili le sensazioni di incertezza, di insicurezza e di inadeguatezza possono assumere dimensioni enormi: il panico di non sapere cosa dire/fare e come dire/fare, il timore di essere impacciati, l’angoscia di affrontare certe tematiche, l’incapacità di sostenere e gestire persone e situazioni e la sofferenza nel sentire la propria identità alla mercé delle persone e dell’ambiente circostante. Tutto troppo al di là di una qualsiasi possibilità di controllo, quindi meglio spostare l’attenzione laddove ci si senta più a proprio agio. In particolare poiché il nostro interesse riguarda gli otaku e gli hikikomori le comfort zone di riferimento sono la finzione e la propria stanza.
È beninteso che la questione qui espressa non si limita a questo esempio ma si propaga a varie sfere psicosociali, per esempio la ricerca di persone con cui stringere amicizie, caratterizzate da tutta una serie di “sfaccettature” che rispettino e a loro volta mostrino tale ipersensibilità, e così via. Inoltre non è detto che l’otaku o l’hikikomori desiderino davvero nella propria persona e negli altri tali “sfaccettature”, ma è anche possibile che loro si illudano di volere ciò, una sorta di autoinganno di cui magari sono anche consci, ma che comunque continuano a inseguire per non accettare alcun tipo di compromesso.
A questo punto sorge una domanda: sebbene queste sfumature psicologiche e sociali si possano riscontrare in individui di tutto il mondo, perché in Giappone sono emersi dei veri e propri fenomeni? Perché in Giappone è più forte la pressione per le regole, per l’ordine e per il conformismo pubblico-sociale, inoltre le persone sono molto sensibili al giudizio altrui e ci può essere una forte discrepanza tra la personalità, i desideri e i sentimenti privati dell’individuo e le opinioni che egli deve mostrare in pubblico. Rispetto agli USA o ai paesi europei il Super Ego disciplinante, le maschere, le etichette e il successo-fallimento sono molto più importanti in Giappone, per questo è ben comprensibile il fatto che l’hikikomori sia un fenomeno così diffuso e analogamente è più evidente il motivo per cui l’otakuzoku sia nata come un fenomeno subculturale i cui membri si opponevano formalmente alla società.
Conseguenze
Seppur in modo sintetico e nei limiti dei nostri interessi in vista dell’articolo conclusivo, queste considerazioni proposte possono essere concause che concorrono allo sviluppo della mentalità otaku: una miscela di caratteristiche ambientali e psicologiche che può portare alla necessità di accumulare manga, anime e videogiochi.
Una forte timidezza, una scarsa stima di sé, l’ipersensibilità, l’angoscia sociale e altre questioni psicologiche vissute all’interno di un ambiente di sufficiente benessere a livello di ricchezza (anche solo medio), serenità e sicurezza ma eccessivamente iperprotettivo e indulgente, oppure la vita in una famiglia poco integrata culturalmente nella società, in cui c’è una mancanza di riferimenti a livello di consapevolezza, capacità e competenze, o ancora un contesto in cui si vivono problemi come litigi o traumi (e.g. divorzio, bullismo), le pressioni della società, il fallimento scolastico o nei test d’ingresso universitari (ronin) e tanto altro, sono tutti fattori che possono portare a un senso di incertezza e di inadeguatezza psicologico e sociale, alla ricerca di dipendenza e benevolenza, a un rifiuto per i compromessi, all’eccessiva idealizzazione, alla misantropia, ad atteggiamenti passivo-aggressivi e così via, e quindi al bisogno di escapismo nella finzione (otaku) o addirittura a una totale reclusione (hikikomori), e in entrambi i casi si verifica un fenomeno di moratoria.
Dunque l’urgenza del fuggire dalla vita reale (e spesso anche da se stessi) per rifugiarsi in modo totalizzante nella finzione o nella propria stanza, si può riassumere nella necessità di prevedibilità e controllo a scapito degli imprevisti, della sofferenza e del divenire della vita, una realtà in cui “non c’è posto per me”.
In tale scenario l’ambiente di benessere concorre al problema in almeno due modi:
• da una parte mina il già fragile status mentale del bambino/adolescente con un immaginifico distorto della realtà illudendolo ancora di più;
• dall’altra il fatto di vivere nel benessere e non, ad esempio, in condizioni precarie, permette di poter procrastinare l’ingresso nella vita psicosociale adulta.
Quest’ultimo punto è molto importante in quanto l’hikikomori avviene in famiglie della classe media per cui è possibile mantenere in casa un figlio recluso, che sia adolescente o adulto, anche per molto tempo, cosa che invece non è possibile in famiglie a basso reddito in cui i giovani che rifiutano di andare a scuola o che hanno concluso gli studi sono obbligati ad andare a lavorare fuori di casa e pertanto l’isolamento, se mai ha inizio, termina precocemente.
La benevolenza e il benessere non sono da demonizzare a priori, piuttosto è da biasimare la ricezione passiva che porta a diventare assuefatti a questi senza rendersi conto del fatto che essi “non piovono dal cielo” ma sono da realizzare. In tal senso la sofferenza provocata anche solo da una lieve mancanza di questi elementi viene rifiutata e si fugge.
Un anime, un manga, un videogioco non feriscono veramente l’individuo e anche se possono sorprenderlo con risvolti di trama particolari, non ci sono ripercussioni in modo vivido sul fruitore, se non in alcuni casi particolari. Alla fin fine nel concreto non accade davvero nulla, è solo un’illusione.
Si comprende quindi il senso più ampio del sentirsi al contempo “sinceramente emozionati” e “ingannati” con cui Okada indica gli otaku:
• in primo luogo si ricerca significato tramite la finzione, una trama coerente dove i tasselli del puzzle si incastrano per bene, un insieme di riferimenti psicologici e sociali da cui sia possibile carpire illusoriamente esperienza e che vadano a sopperire le mancanze sentite dall’individuo nella realtà (per lo meno fino a quando gli spettatori cercavano ancora un senso nelle opere), l’impegno totalizzante per conoscere e studiare le opere e le loro caratteristiche, o ancora il collezionismo e la catalogazione di VHS, DVD, riviste, model kit o action figure, o la creazione di garage kit;
• in secondo luogo per una mente debole che ha difficoltà a provare certe emozioni in una realtà per lei eccessivamente caotica, imprevedibile e dolorosa, l’unico ripiego è vivere emozioni in modo illusorio (consapevole o meno) nella finzione.
Significato e emozioni: il denominatore comune è che questi fenomeni avvengono all’interno di una culla dalle sfaccettature prevedibili e rassicuranti.
Sebbene si possa osservare nell’otaku una sorta di socievolezza e voglia di condividersi con gli altri quando si tratta di parlare dei tecnicismi di mecha e astronavi, o di esprimere le emozioni provate guardando un nuovo anime, in realtà tutto ciò rimane a un livello molto superficiale e formale senza portare mai la comunicazione a un livello più profondo, cioè non si instaura mai un dialogo tra il Sé della persona e quello degli altri. Se fosse altrimenti non si parlerebbe di otaku.
Si osservi che il pronome otaku, esprimendo il senso di “voialtri”, crea un vero e proprio distacco nell’approccio con l’Altro, quindi l’otaku più che essere interessato all’altro otaku in termini di amicizia o di legame è interessato alle collezioni che questo possiede e pertanto i dialoghi vertono solo su tematiche comuni, ovvero anime, manga e videogiochi. In particolare con l’avvento di internet si possono accumulare e scambiare informazioni, che siano tecnicismi o emozioni superficiali, si può chattare senza innestare una reale e profonda comunicazione e talvolta, con la sicurezza dell’anonimato concesso dalla rete, ci si può permettere di scrivere ogni cosa si voglia, fare disinformazione, litigare e usare violenza psicologica gratuita.
Certamente attraverso internet si può anche instaurare una comunicazione più approfondita con altre persone, ma se poi questa relazione non viene concretizzata nel mondo reale perché si vogliono evitare tutti quegli elementi che nel virtuale vengono filtrati, allora cosa rimane? Ben poco, forse in fin dei conti ciò che si desidera non è altro che quella serafica sensazione di controllo e benevolenza che il mondo virtuale permette, e nella quale ci si vuole rifugiare.
Infine poiché ho indicato l’otaku come un collezionista compulsivo, devo spiegare il perché di questa definizione. Per quanto detto finora l’otaku cerca di non abbandonare l’infanzia e cerca prevedibilità, controllo, sicurezza, tranquillità e benevolenza, e per farlo si rifugia nella finzione. Dunque è chiaro che nulla dell’infanzia deve andare perduto (accumulo di ricordi) e al contempo nuovo materiale deve entrare nella bolla (collezionismo di finzione) che si tenta di costruire.
Tuttavia questa è solo una faccia della medaglia, e sebbene l’altro lato sia stato accennato ci tornerò in modo più approfondito nell’articolo finale, dove vedremo esplicitamente il motivo soggiacente al processo di accumulo di finzione e l’impegno verso questa, nonché l’inganno ivi nascosto.
Per concludere mi sembra doveroso fare tre osservazioni.
In primo luogo finora per descrivere il fenomeno otaku e per dare qualche cenno del fenomeno hikikomori ho focalizzato l’attenzione soprattutto sul tema della passività con annessa la fuga dalla realtà, tuttavia ci sono tanti altri aspetti psicologici e sociali che i fenomeni suddetti e anche altri, e.g. quello dei NEET, mettono in luce. Le osservazioni proposte non sono che una fetta dell’intera gamma di cause e sfumature peculiari dei fenomeni descritti, soprattutto per quanto riguarda l’hikikomori non si deve intendere che questa scelta volontaria venga attuata solo da persone schive, timide e introverse, tuttavia per i nostri interessi ritengo che tali questioni siano ben adatte a descrivere il personaggio di Shinji e in generale il contesto trattato da Evangelion.
In secondo luogo dato che la personalità dell’individuo si forma e si estrinseca in relazione all’ambiente in cui egli è immerso si può ribaltare la prospettiva del focus, ovvero ci si può interrogare sulla dimensione entro cui certi fenomeni psicosociali siano criticabili e quanto essi mettano in evidenza, come delle cartine tornasole, la malattia dell’ambiente in cui si sviluppano. In poche parole non si deve commettere l’errore di considerare solo il lato del disadattamento dell’individuo, ma si deve anche porre l’attenzione su come un ambiente malato (una famiglia disfunzionale, un indebolimento della scuola come figura educativa, una politica con dei fenomeni di corruzione, una competitività estremizzata, un lavoro alienante etc.) può indurre lo sviluppo di certi fenomeni, in modo tale da comprendere quali siano i provvedimenti necessari da prendere per realizzare dei miglioramenti. Poiché Evangelion si concentra prevalentemente sull’aspetto della fuga dalla realtà tratterò soprattutto questo tema, mentre tralascerò il secondo punto che mi permetterò di citare solo di tanto in tanto.
In terzo luogo la postmodernità da me accennata non deve essere intesa solo in senso strettamente negativo, infatti sebbene il mio intento sia mostrare come Evangelion e i fenomeni collegati abbiano dei legami con diversi lati oscuri di quest’epoca c’è da dire che al contempo negli ultimi cinquanta anni sono emerse molte caratteristiche positive, come ad esempio il riconoscimento delle culture, del pluralismo dei saperi e delle diversità, nonché il riconoscimento e la maggior importanza della responsabilità individuale nella vita, tematiche che per certi versi torneranno anche nell’articolo finale. Ovviamente non è possibile presentare in questo progetto un discorso approfondito su questi temi, poiché esulano dall’argomento principale e il tutto diventerebbe esageratamente dispersivo.
Si chiude qui questo excursus dedicato al fenomeno otaku.
Di cosa parla Evangelion
Evangelion è l’anime che, all’interno di una forma suggestiva e invitante, nasconde, come se fosse una torta avvelenata, un nucleo contenutistico di amara verità che va a mostrare all’otaku come sia sciocco pensare che la finzione possa assurgere al ruolo di nuova Grande Narrazione, nonché come sia illusorio attaccarsi a essa in modo totalizzante.
In altre parole Evangelion è l’opera che simbolicamente cala il sipario sull’era delle finzioni e lascia il posto all’era attuale, la quale sia per Azuma che per Okada è caratterizzata da una parte dalla diffusione massiccia del fenomeno del moe e dall’altra da spettatori trasformati in post-otaku, ovvero essi si sono completamente adeguati alle sfumature dello scenario postmoderno e, come animali che ambiscono al semplice soddisfacimento di bisogni primari, non ricercano alcun contenuto o ideale all’interno delle opere, né si dissociano dal consumismo imperante ma bensì lo praticano continuativamente e senza alcuna remora.
Questo ovviamente non deve essere intenso in senso generale in quanto anche oggigiorno si possono trovare lavori molto buoni, e soprattutto si dovrebbe fare un discorso sull’evoluzione delle dinamiche sociali per mettere in evidenza sia i lati negativi che quelli positivi di quest’epoca. Tuttavia poiché non ci interessa la situazione contemporanea ma ci interessa il periodo in cui è nato Evangelion tali tematiche non saranno trattate.
Fatte queste considerazioni andiamo al dunque: Evangelion è una storia sulla dipendenza e sullo svezzamento da questa.
Particolare importanza riveste inoltre il complesso di Edipo, come affermato direttamente da Hideaki Anno nel libro Schizo:
Anno: Quando ho iniziato Eva, ho pensato che fosse una storia sul complesso di Edipo. Perché è una storia in cui Shinji uccide suo padre e gli ruba la moglie/madre.
Takekuma: Una madre che è diventata un gigante (ride).
Anno: Sì, c’era questa sostituzione tra la vera madre [di Shinji] e un robot, in modo che lei fosse all’interno del robot, e al contempo c’era anche una madre della stessa età di Shinji al suo fianco, Rei Ayanami. Questa inizialmente era al fianco del vero padre del ragazzo, Gendo Ikari.
Inoltre nella storia c’è anche un altro padre, Adam, che governa il corso generale degli eventi. Insomma un complesso di Edipo all’interno di queste molteplici strutture; questo è quello che volevo fare.
Nell’intervista sono esplicitati diversi aspetti importanti di Evangelion, in particolare Anno sottolinea come l’Eva-01 svolga di fatto la funzione di madre surrogata per Shinji, cosa che vale anche per l’Eva-02 di Asuka. Infatti non solo i due Eva contengono rispettivamente l’anima di Yui e una traccia dell’anima di Kyoko, ma l’entry plug è anche una metafora dell’utero materno, come detto da Asuka nell’episodio 14, e inoltre il rapporto tra l’Eva e il pilota tende a essere di stretta dipendenza, come noterà Asuka nell’episodio 23: “Mi trovo ancora a bordo. Che pietosa condizione di dipendenza”, e come detto da Shinji nell’episodio 26: “Perché piloti l’EVA?” “Perché è tale, quello è il mio tutto”.
In aggiunta a tutto ciò, nella storia è presente anche Lilith, la madre dell’umanità a cui l’uomo vuole tornare, come detto nell’episodio 25: “Torniamo alla madre che questo mondo aveva perduto”.
In tal senso possiamo dire che sia gli Angeli che i Lilim sono come eterni bambini che tentano di tornare al “grembo materno” dell’Entità Progenitrice, ostacolandosi a vicenda.
Gli Angeli non solo rappresentano una specie [figli] che vuole tornare ad Adam [il proprio genitore], ma sono anche l’ostacolo che cerca di impedire agli umani [figli] di ritornare a Lilith [il proprio genitore] e che tenta contemporaneamente di arrivare a lei per fondersi in qualità di successori di Adam, il metaforico marito di Lilith. In tal senso gli Angeli sono come delle nuove figure paterne dal punto di vista dei Lilim, per questo l’umanità deve eliminarli: deve distruggere tutti i “padri secondari”, nati da Adam, che vogliono possedere Lilith.
Analogamente la Seele e Gendo cercano di fare lo stesso: i primi vogliono tornare alla madre, Lilith, il secondo vuole riunire l’umanità all’interno dell’Eva-01. In entrambi i casi, come si nota, si ottiene quello status di sicurezza ricercato dalla mentalità otaku.
Per concludere consideriamo nuovamente l’intervista con Hiroki Azuma proposta all’inizio di quest’analisi:
HA: Il problema relativo alla questione otaku non consiste nell’essere un fenomeno underground, bensì un fenomeno diffuso e allo stesso tempo un gruppo completamente chiuso, “antisociale” e isolato. Il numero di otaku è molto elevato…
KW: … e sono “soli ma non solitari”. (ride)
HA: Ritengo che questo fenomeno sia molto recente nella scena culturale giapponese degli anni Ottanta: l’aumento vertiginoso del numero non significa che gli otaku socializzino e tendano ad aprirsi. Anno è consapevole di tale stato di chiusura. In altre interviste su riviste dedicate all’animazione dice di aver voluto allargare il numero degli otaku all’inizio della realizzazione di Evangelion. Era una sorta di piano generale di “otakizzazione” con lo scopo di invertire lo stato di chiusura. Ma verso la fine del processo di produzione fu costretto a interrompere tale schema. Questo cambiamento che avvenne in meno di sei mesi è molto importante per la cultura giapponese perché mostra chiaramente che quella tipica strategia di far implodere un terreno culturale chiuso e specialistico ha per forza come risultato il fallimento.
La serie Evangelion può essere divisa in due parti. La prima è un anime sci-fi ben realizzato. I personaggi sono descritti come felici e comunicativi; personaggi di anime sci-fi tipici come Asuka. Ovviamente Rei è un personaggio che fa eccezione. La prima parte sembra svilupparsi verso un lieto fine, che è certamente lo sviluppo più desiderabile per i fan dell’animazione. Il modo in cui guardano questi film è un processo di identificazione con i personaggi. Gli spettatori vogliono essere Shinji o Asuka. Ma la parte successiva diverge da tale tipico schema. Le recensioni e i commenti dei fan dell’animazione pubblicati sulle riviste mostrano il loro disappunto nei confronti degli episodi successivi, poiché non c’è alcuna speranza per un lieto fine e non c’è spazio per l’identificazione con i personaggi. Il mistero del mondo di Evangelion diventa sempre più critico e complicato. Ovviamente questa non è più la trama tipica di un anime.
Dall’intervista si evince che inizialmente Anno voleva rendere Evangelion un’opera tale da appassionare anche i non-otaku, allargando così l’apertura per l’otakuzoku a nuovi membri con lo scopo di renderla più mainstream e rendere i componenti più socievoli. Tuttavia quando si accorse che ciò non stava avvenendo Anno ha riconosciuto l’autismo intrinseco nello status di otaku e l’ha rifiutato, una vera e propria rottura nei confronti delle sue caratteristiche come lo snobismo verso la finzione, la mancanza di seri riferimenti alla realtà e di contenuti vividi e complessi in grado di scuotere veramente il fruitore. Si noti che il problema che si vuole criticare non è l’opposizione alla decadenza della società, bensì è il fatto di aver usato esclusivamente la finzione come strumento per fare ciò.
In particolare nel caso di Evangelion a partire da una storia con un background sci-fi/mistico, tipica come già abbiamo visto in storie come Nausicaa, Nadia, Ideon, si vanno a destrutturare i personaggi facendo vivere loro esperienze traumatiche per poi abbandonare completamente la trama in modo tale da focalizzare l’attenzione sul messaggio dell’opera. Un’escalation, una destrutturazione come quella di Evangelion è fatta per cercare di rompere quella barriera tra l’opera e lo spettatore. Come abbiamo detto l’opera non riesce quasi mai a scalfire il fruitore nella concretezza della sua realtà, ma ecco che Evangelion ha cercato di sfondare la quarta parete, di bucare lo schermo, per smuovere davvero qualcosa nell’eterna estate dello spettatore.
Conclusioni
In questa sede faremo un po’ il punto della situazione.
Innanzitutto possiamo fare un’osservazione su una peculiarità che caratterizza Evangelion rispetto ad altri anime robotici degli anni precedenti, in termini di spirito di un’epoca. In particolare ci riferiamo ad anime come Mobile Suit Gundam e Ideon.
Yoshiyuki Tomino aveva creato uno scenario di guerra in cui far avvenire le vicende e i personaggi erano costantemente immersi in questo, mettendo gli spettatori degli anni Ottanta in un contesto da guerra mondiale, esperienza che non avevano vissuto al contrario dei propri genitori e nonni; a causa del benessere diffuso a questa nuova generazione può mancare una certa predisposizione alla durezza della vita e al conseguente adattamento, e a ciò Tomino sembra voler ovviare presentano uno scenario come quello di Gundam.
Si può riscontrare il medesimo intento rappresentativo nel film La tomba delle lucciole (precendemente edito in Italia con il titolo Una tomba per le lucciole) di Isao Takahata. Infatti come affermato dal regista nell’intervista per Animage, vol 151, Gennaio 1991:
Takahata: Non era mia intenzione garantire al pubblico la catarsi del pianto. Ciò nonostante molte persone dicono “Ho pianto così tanto” e altre dicono addirittura “Ho pianto così tanto e non voglio vederlo più”. A loro rispondo “Sarebbe più divertente se lo guardaste ancora una volta” (ride)
(L’intervistatore suggerisce che forse la gente pensava che il film riguardasse soltanto il passato e perciò ha ispirato loro un senso di nostalgia.)
Takahata: Questo mi spiace. Intendevo rappresentare il ragazzino in La tomba delle lucciole come un ragazzino contemporaneo, piuttosto che un ragazzino di quell’epoca. Non sopporta la durezza della vita. Quando la zia lo minaccia dicendogli “Va bene, mangiamo separatamente”, il ragazzo è piuttosto sollevato. Egli ritiene che sia più semplice mangiare da soli piuttosto che sopportare la discriminazione da parte della zia. Come risultato, la sua vita diventa più dura. Tale sentimento è più vicino a quello provato dai ragazzini di oggi. Ho realizzato il film pensando a cosa succederebbe se un ragazzo di oggi fosse improvvisamente catapultato in quel periodo con una macchina del tempo. La mia intenzione non era retrospettiva o nostalgica, ma non l’ho espressa abbastanza bene…
Viceversa Hideaki Anno ha creato un background legato all’inquietudine degli anni Novanta: i personaggi di Evangelion infatti non sono calati costantemente in una guerra, gli Angeli attaccano uno alla volta e tra una battaglia e l’altra Shinji e i suoi coetanei vanno a scuola, si svagano con i videogiochi, guardano la televisione, e possono addirittura permettersi party o gite scolastiche, come nell’episodio 10.
L’atmosfera che si respira in Evangelion non è dunque quella di una guerra, bensì è quell’aria di angoscia che permeava il mondo durante la Guerra Fredda, o il Giappone postmoderno degli anni Ottanta e dopo lo scoppio della bolla economica, tra recessione, persone che avevano perso riferimenti filosofici, politici e umani, fenomeni di chiusura come Aum Shinrikyo che si batteva contro un nemico indefinito e che temeva un’apocalisse mutuata da un insieme di storie prese da anime, manga e così via.
Come è facile rendersi conto sia Hideaki Anno nell’anime che Yoshiyuki Sadamoto nel manga hanno inserito esplicitamente questo senso di mancanza di riferimenti e paura derivante, con gli Angeli come rappresentazione simbolica della somma di queste preoccupazioni, come abbiamo potuto leggere nell’estratto iniziale dall’intervista con Hiroki Azuma.
Nel caso dell’anime, un dialogo interessante è quello tra Shinji, Asuka e Rei nell’episodio 11:
SHINJI: Senti, secondo te che cosa sono gli Angeli?
ASUKA: Ma che domande in un momento simile!
SHINJI: Angeli, ovvero messaggeri di Dio. I nostri nemici, esseri dai nomi celesti. Mi domando perché li combattiamo.
ASUKA: Ma sei stupido?! Di fronte a un branco di chissà cosa che ci attacca, noi non possiamo fare altro che scacciare le fiamme. Mi sembra ovvio, no?
Nel manga invece trovo particolarmente significative le scene disegnate da Sadamoto nel volume 5 riguardanti l’incontro tra Kaji e Shinji all’acquario, in cui il primo mette al corrente il ragazzo di alcuni retroscena dietro le quinte, oppure la brutta sensazione avvertita da Shinji nel volume 6 mentre passeggia nelle vie di Neo Tokyo-3.
Se quindi un primo piano di lettura per lo scenario di Evangelion è legato all’inquietudine di un’epoca, con riferimenti e percezioni a una realtà ben precisa, un secondo piano di lettura lo si può trovare nella sensazione di inadeguatezza percepita da Hideaki Anno: un ragazzo nato negli anni Sessanta che aveva vissuto l’Expo di Osaka nel 1970, che aveva immaginato un futuro positivo e di successo, ed era cresciuto nel benessere rigoglioso degli anni Ottanta interessandosi di letteratura, cinema, anime, manga e altro, ma che poi con la crisi degli anni Novanta non solo sentiva le problematiche della società ma al contempo rifletteva sulla propria condizione di “non più ragazzo” (Hideaki Anno aveva 35 anni all’epoca di Evangelion) ancora interessato agli anime e manga, non solo dal lato produttivo.
Il punto è che non tutti gli otaku dell’epoca di Hideaki Anno sono rimasti per sempre fruitori di anime anche nell’età adulta, ma si sono emancipati da questa mentalità per rivolgere il loro interesse verso la società. Viceversa una persona come Hideaki Anno, che ha continuato ad amare l’animazione da adulto come fruitore, non poteva che esteriorizzare in Evangelion queste passioni da un lato, e dall’altro riflettere sulla propria condizione di fruitore di anime nonostante l’età adulta. Shinji non è solo un ragazzino fittizio di 14 anni delineato con dei traumi, delle paure e dei conflitti interiori e che possiamo vedere come un modello rappresentativo di un certo tipo di adolescenza e quindi anche personaggio con cui alcuni spettatori possono identificarsi, ma è anche una sorta di alter ego tramite cui si manifestano la personalità e le riflessioni di Hideaki Anno.
Gli spettatori di Evangelion sono stati da una parte i ragazzi che all’epoca frequentavano le scuole medie o superiori e i cui interessi otaku erano ben diversi rispetto a quelli dei vecchi otaku, dall’altra erano proprio gli irriducibili otaku ventenni o trentenni. Hideaki Anno quindi non solo parlava agli otaku spettatori dell’anime, ma contemporaneamente rifletteva sulla propria condizione.
È riuscito Evangelion a realizzare questi obiettivi? E in particolare è riuscito a sfondare la quarta parete per portare il suo messaggio?
Lo scopriremo nell’articolo conclusivo, dedicato al gran finale!
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PARTE I – Un puzzle intrigante
Lo Scenario di Evangelion
Focus 1 – Gli Angeli in Evangelion
Focus 2 – Frutto della Vita e Motore S²
Gli Impact in Evangelion
PARTE II – Tra fascinazioni, inquietudini e speranze
Evangelion & le fascinazioni della fantascienza
Il Perfezionamento dell’Uomo
Focus 3 – Kaworu Nagisa
Evangelion: Finale (1/2)
Evangelion: Finale (2/2)
PARTE III – La nuova versione cinematografica
Rebuild of Evangelion: titoli e speculazioni
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